Dopo gli stenti del primo anno, il bosniaco ha preso le misure al nostro campionato e ora fa volare i giallorossi Serviva solo un po’ di pazienza, la stessa che il pubblico romanista negò a Batistuta. Che poi vinse lo scudetto…
di CESARE LANZA
Le fortune della Roma e le residue (poche? Si vedrà) possibilità di contendere lo scudetto alla Juventus sono quasi tutte affidate ai piedi del suo goleador, Edin Dzeko, trentenne, bosniaco di Sarajevo. Sia lode ai romanisti – pochi – che hanno resistito alla delusione della stagione passata e hanno confidato nel suo riscatto, quest’anno. In primo luogo, giusto riconoscerlo, l’allenatore Luciano Spalletti. Tuttavia, sono certo che nessuno potesse aspettarsi una simile raffica di gol, in campionato e in Europa League. Tra i numerosi osservatori diffidenti sulle qualità di Dzeko mi ci metto, sinceramente, anch’io. E non è una confidenza da poco: se sbaglio, anzi come dicono a Roma, se mi succede di «cannare» un pronostico calcistico, ma soprattutto la valutazione di un calciatore, ci resto malissimo, assai più che se prendo lucciole per lanterne in questioni politiche o di altro spessore! Non siamo forse, tutti, allenatori di calcio? Molti anni fa, sul Messaggero, scrissi una nota emotivamente molto vibrante, in difesa di Gabriel Batistuta e di Paolo Bonolis. C’era una strana coincidenza: crisi nera per il centrattacco, che non trovava più il gol, e contemporaneamente per Paolo Bonolis, incappato nell’unico flop di ascolti, nella sua carriera. Non conoscevo né Batistuta né Paolo. Ma ero indignato (e lo sono ancora e sempre, in situazioni analoghe) per il tiro a bersaglio in cui, con spietatezza e anche qualche volgarità, si esercitavano i mass media, incuranti delle qualità di quei due mattatori, l’uno nel calcio e l’altro nello spettacolo. I due risorsero, e non me ne faccio un vanto perché il pronostico era facile: Batistuta con i suoi gol trascinò la Roma allo scudetto ed entrò nella leggenda, non solo per i tifosi giallorossi; Bonolis, con altri programmi, tornò a piazzarsi al vertice delle classifiche. Una domanda, a me stesso, mi sorge spontanea: perché, per l’attaccante bosniaco, non ho avuto la stessa solidarietà dimostrata per il goleador argentino e per il romanaccio divo della tv?
Mi sono già battuto il petto, ammettendo la mia (occasionale) miopia footballistica. Ma, diciamolo, la caratura è diversa. Batistuta è stato tra i più grandi e micidiali attaccanti stranieri (e Bonolis un protagonista, re dello show). Dzeko deve dimostrarlo: per ora è una grande, meravigliosa sorpresa per la Roma. Non ha alle spalle un curriculum da favola: 66 gol in quattro anni in Germania, 50 in altri quattro in Inghilterra, nel Manchester City. E ha trent’anni compiuti in marzo. Nella Roma finora 15 (e 18 l’anno scorso). È un signor goleador, ma non – per ora – un super campione. Può essere che in futuro si riveli, nella maturità, più scintillante che nella giovinezza? Ne dubito, ma può essere. Mi tengo prudente: il fisico è asciutto, la forza muscolare come a vent’anni, l’orgoglio straordinario come sempre negli slavi e la disciplina nella vita privata, contrariamente alle abitudini degli slavi, potremmo quasi assimilarla a quella di un frate trappista.
Vediamolo più da vicino, Edin da Sarajevo, tre mesi – e più – dopo il folgorante e inaspettato exploit. Prima i difetti. È lento, a volte macchinoso, quindi i riflessi non sono immediati. Forse questa è la sua vera e unica lacuna, che lo ha portato nel torneo passato, ma anche in questo, a fallire in modo incredibile una serie possibile di gol. Quegli errori che inducono i telecronisti a strillare «Ma cosa si è mangiato!» e i presunti intenditori – come me – ad affermare avventatamente «Questo lo avrei segnato anch’io! Anche un bambino avrebbe fatto gol!». Le qualità sono numerose e preziose, anche se non strabilianti.
È un bravo ragazzo, amato e rispettato dai compagni: tutti con pazienza e senza frizioni hanno aspettato che una buona volta finisse la lunga ed esasperante crisi, il festival delle occasioni d’oro, puntualmente sbagliate. Poi, è vero che oltre ad hamburger e patatine fritte ha il gusto di «mangiarsi» tanti gol. Ma sono tanti perché, come pochi altri, Edin si trova spesso in zona gol, perciò molti ne fa e altrettanti ne «canna». È forte di testa, gioca con i due piedi, è difficile portargli via il pallone, è una sponda utilissima per la squadra. Prende botte e non si lamenta, si arrabbia solo per aggressioni verbali o ingiustizie palesi, come gli è successo nell’ultima partita della sua nazionale. Non si butta a terra, non fa né scene, né scenette, né scenate.
Ha anche un discreto dribbling, il primo gol (tre in totale) di giovedì sera contro il Viktoria Plzen è stato un capolavoro tecnico. È in definitiva uno per bene, serio e tosto, in campo e fuori. Spalletti, l’allenatore, aveva inventato il falso «nueve» per confondere le idee agli avversari e sopperire alla mancanza di un goleador classico. Oraha trovato il«nueve» vero, formidabile, e dice che punta a vincere l’Europa League. Ma, forse per un complesso di colpa verso Edin, non mi sento di escludere nulla. Se Dzeko continua così, ovviamente.
C’è un impianto nella Roma, fatto su misura per lui: sulle fasce Perotti e Salah, a centrocampo Nainggolan e Paredes gli servono palloni d’oro. Non importa se molti se li «mangia» come hamburger (ma anche amatriciane: è un buongustaio, anche per questo si trova bene a Roma). Importante è che la sequenza continui. Certo la Roma rifiuterà la proposta del Milan di scambiarlo con Bacca. Ormai tutti pensano che Edin non si ferma più. Non succede? Possibile. Ma se succede, Dzeko sarà capocannoniere. E la Roma… Non lo dico, certe cose non si dicono.
Cesare Lanza, La Verità