La disputa sul design dell’iPhone va avanti
La Corte suprema americana ha annullato una multa da 399 milioni di dollari (372 mln euro) che la coreana Samsung avrebbe dovuto pagare a Apple per la violazione di alcuni brevetti sul design. Dopo cinque anni di liti, ora la disputa torna in tribunale per un nuovo riesame. Con otto voti a zero, l’Alta corte Usa ha disposto che, se un singolo pezzo del prodotto viene infranto, il titolare di quel brevetto (in questo caso, Apple per il design dell’iPhone) non può richiedere danni sui profitti generati dall’intero prodotto.
La disputa tra i due colossi è seguita con particolare interesse dall’intero settore tecnologico, perché la legge americana sui brevetti nel design non viene modificata da 120 anni ed era stata creata in un’epoca in cui i prodotti erano molto più semplici e per tutelarli bastava un singolo brevetto. Oggi, invece, un solo smartphone è tutelato da migliaia di brevetti e, dunque, si pone la questione dell’entità del risarcimento nel caso in cui venga infranta la legge per il singolo brevetto di un unico pezzo.
Samsung aveva già concordato con Apple un risarcimento di 548 milioni di dollari (511 mln euro) per una disputa iniziata nel 2012 per violazione di brevetti sui prodotti tecnologici, per la quale Apple chiedeva inizialmente danni per un miliardo di dollari. Quell’ammontare era stato ridotto a 930 milioni di dollari e successivamente si era giunti, appunto, a un accordo in California per 548 milioni. La disputa sui brevetti per il design da 399 milioni di dollari era invece ancora aperta e, dopo la sentenza di ieri, non si è ancora conclusa.
Intanto il vicepresidente di Samsung, Lee Jae-yong, intende abolire l’ufficio che, fungendo da torre di controllo per il maggiore conglomerato della Corea del Sud, dispone le principali acquisizioni e gestisce i trasferimenti del personale. La decisione arriva dopo settimane intense per la torre di controllo, finita nel mirino per il presunto coinvolgimento in fondi in entità gestite da Choi Soon-sil, intima confidente del presidente sudcoreano Park Geun-hye. Secondo l’accusa, Choi avrebbe utilizzato le proprie conoscenze politiche per sollecitare donazioni dai conglomerati del paese, compresa Samsung.