Sassoli: nuove regole condivise sugli annunci online e big data
Allora, è più efficace un esposto alla direzione antifrode del ministero dell’economia contro agenzie e centro media come ha fatto l’Upa francese, l’Uda Union des announceurs, guidata da Etienne Lecomte, il patron del terzo gruppo caseario mondiale (il gruppo Le Bel, quello dei formaggi con «la vache qui rit», la mucca che ride) come ha riferito ItaliaOggi nell’edizione del 24 novembre, oppure un bel Libro Bianco sulla Trasparenza pubblicitaria come quello messo in cantiere (vedere ItaliaOggi del 5 settembre) dall’Upa italiana guidata da Lorenzo Sassoli de Bianchi, patron del gruppo Valsoia? Il presidente dell’Upa è in viaggio d’affari a Bruxelles.
In una pausa aeroportuale risponde a ItaliaOggi.
Domanda. Condivide l’iniziativa dei suoi colleghi francesi che hanno minacciato di ricorrere all’antifrode se non verrà estesa anche al mercato pubblicitario Internet la Loi Sapin che dal lontano 1993 tiene sotto controllo agenzie e centri media?
Risposta. Grazie a quella legge i francesi, che hanno una particolare attitudine a regolamentare tutto, una tradizione napoleonica come si sa, hanno creato il mercato pubblicitario più trasparente al mondo. Solo che Internet è una galassia difficilmente regolamentabile.
D. I francesi ci stanno provando. Anche mostrando i muscoli e anche questo secondo una certa tradizione giacobina, se vuole.
R. La Loi Sapin vieta ai centri media di essere acquirenti in proprio di spazi pubblicitari e impone obblighi di trasparenza e rendicontazione degli investimenti. Ora l’Uda pretende che questi stessi obblighi siano estesi alla pubblicità online che, non essendo regolamentata, sfugge a qualsiasi controllo sia dal punto di vista economico (budget, prezzi, sconti e quant’altro) sia dal punto di vista della misurazione della sua efficacia (gestione dati, controlli, verifiche, audience).
D. Ma, secondo lei, i francesi hanno fatto bene ad alzare il tono dello scontro, visto che anche qui almeno il 40% degli investimenti pubblicitari online si perde lungo una catena piena di ombre per non dire di truffe, «les fraudes au clic» come le chiamano qui?
R. Guardi che queste «fraudes au clic» ci sono in Francia, come in Italia, come negli Stati Uniti. Per non dire della Cina e dei mercati asiatici dove, secondo certe stime degli osservatori, arrivano fino al 70%. Insomma, il fenomeno esiste ed è grave. Ma affrontarlo con le denunce e le carte bollate, mettendo i vari attori della filiera pubblicitaria uno contro l’altro, non porta a nulla.
D. Allora, è meglio il suo progetto di Libro Bianco della Trasparenza attorno al quale lei ha coinvolto i Magnifici Sette della Pubblicità: Maurizio Costa della Fieg, Marco Testa di Assocom, Carlo Noseda di Iab Italia, Giancarlo Vergori di Fedoweb, Alessandro Ubertis di Unicom, Massimo Martellini della Fcp e lei stesso?
R. Capisco che l’espressione Libro Bianco fa pensare a un esercizio culturale praticamente inutile di fronte a un fenomeno, le truffe informatiche, i robot che cliccano su pop-up e banner pubblicitari al posto degli umani, come hanno scoperto gli americani. Mi creda, però: l’unico modo per mettere un freno è coinvolgere tutti, stabilire regole e codici di comportamento. Solo le «buone pratiche» accettate da tutti possono espellere i cattivi operatori dal mercato.
D. Ci crede davvero? E allora perché nel 2007 lei stesso non è riuscito a far approvare una sorta di legge Sapin per il mercato italiano?
R. È vero, c’era anche l’impegno dell’allora sottosegretario all’editoria, Ricky Levi. Non s’è fatto in tempo perché poco dopo il governo Prodi cadde e il progetto di una Loi Sapin italiana è sparito dall’orizzonte della politica.
D. Insomma, niente legge, niente denunce. Meglio mettersi d’accordo. È questa la sua opinione?
R. Detta così, non mi piace. Sa di complicità. Io non sono per le iniziative estemporanee, buone per un titolo sui giornali, ma per un lavoro in profondità, per un impegno continuo nella direzione della trasparenza. A gennaio i Magnifici Sette della Pubblicità, come li ha chiamati lei, si riuniranno e stabiliranno l’agenda delle cose da fare, daranno un «commitment» preciso ai tecnici perché trovino, in concreto – ripeto: in concreto – il modo per abbassare il tasso di opacità del mercato online.
D. Può fare un esempio di queste nuove regole che, se accettate, contribuiranno a diradare un po’ della foschia che grava oggi sul web pubblicitario.
R. Gliene faccio due: la liability e la gestione dei cosiddetti big data dei consumatori.
D. Cominciamo con la liability. Di che si tratta?
R. Possiamo definirla come il livello minimo per considerare un annuncio online come «visto» dal lettore-potenziale consumatore e, quindi, valido alla fine dell’audience e del valore della campagna. Oggi, sulla base di una certa prassi, per essere considerato valido un annuncio online deve essere visto per almeno un secondo e per una percentuale pari al 50% del suoi pixel. Lei capisce che questo livello è inaccettabile per gli investitori: basta vedere mezzo annuncio per un secondo perché la campagna sia considerata efficace. No, tempi e percentuale dei pixel debbono essere alzati, assolutamente.
D. E per quanto riguarda la gestione dei big data dei potenziali consumatori?
R. Oggi sui big data, la profilazione dei potenziali consumatori attraverso le campagne promo-pubblicitarie, asset prezioso per qualsiasi iniziativa di marketing delle aziende, c’è una gran confusione. Non si sa chi rileva che cosa e con quali metodologie. E non è neanche chiaro a chi faccia capo la titolarità di tutte queste informazioni. Per noi unico titolare deve essere l’azienda e la qualità delle rilevazioni deve essere certificata da soggetti terzi, possibilmente non da Google e Facebook.
D. Non sarà facile far accettare questi principi a editori e centri media che operano di conserva, come si dice.
R. Ecco perché è importante lavorare insieme, confrontarsi e scrivere le regole di un mercato ancora allo stato nascente. Come una Carta Costituzionale, modificabile si capisce, in cui tutti si riconoscano. Alla vigilia del referendum costituzionale del 4 dicembre, mi sembra un paragone condivisibile, non crede?
di Giuseppe Corsentino, Italia Oggi