Come testimoniano i documenti firmati per partecipare alla campagna elettorale, al futuro inquilino della Casa Bianca fanno capo 500 entità commerciali e 21 istituzioni finanziarie, del valore di almeno 50 milioni ciascuna. Si tratta della più vasta rete di ricchezze e interessi di un capo di Stato americano. Ecco come insidiano l’equità della presidenza
Quando, il 20 gennaio prossimo, Donald Trump diventerà presidente degli Stati Uniti, una lunga serie di conflitti di interesse comincerà a pesare sulla sua amministrazione. Come testimoniano i documenti firmati per partecipare alla campagna elettorale, a Trump fanno capo 500 entità commerciali e 21 istituzioni finanziarie, del valore di almeno 50 milioni ciascuna. Si tratta della più vasta rete di ricchezze e interessi che un presidente abbia mai portato alla Casa Bianca. Per cercare di aggirare critiche, attacchi, intrecci tra politica e affari, Trump ha annunciato la creazione di un blind trust che si occuperà della gestione del business e che sarà controllato dai figli. Nonostante le assicurazioni, è praticamente certo che i conflitti di interesse ci saranno, sin dal primo giorno. Ecco i più probabili. E pericolosi.
La famiglia – Trump ha spiegato che non prevede di dare un ruolo formale a nessuno dei tre figli nella nuova amministrazione. Negli scorsi giorni, la “compagnia-ombrello” di famiglia, la Trump Organization, ha cominciato a fare i primi passi per trasferire la gestione degli affari dal nuovo presidente a Donald Jr., Eric e Ivanka e a “un team di dirigenti altamente preparati”. Il problema è che tutti e tre i figli fanno anche parte del transition team che sta gestendo nomine e future strategie politiche della nuova amministrazione. La portavoce di Trump, Hope Hicks, nell’annunciare che nessuno dei tre figli avrà un “ruolo formale”, non ha però voluto rispondere alla domanda di un possibile “ruolo informale” dei figli stessi. Resta poi il nodo di Jared Kushner, marito di Ivanka. Trump lo vuole assolutamente alla Casa Bianca. Secondo una legge approvata nel 1967, nessun funzionario pubblico può però assumere un familiare per lavorare alle sue dipendenze. Kushner, proprietario del New York Observer, finanziere e immobiliarista, si è rivolto a un avvocato per capire come aggirare la regola. Una possibilità sarebbe rinunciare allo stipendio e affidare le sue proprietà a un altro blind trust. Sembra comunque che possibili conflitti di interessi si porranno a prescindere dal ruolo formale che la famiglia giocherà nella prossima amministrazione. Un esempio: nella prima intervista data dai Trump a Sixty Minutes, dopo la vittoria, Ivanka indossava un braccialetto della sua collezione di accessori femminili. Prezzo del gioiello: 10.800 dollari. Subito dopo l’andata in onda del programma, è partita dall’ufficio stampa dell’Ivanka Trump Fine Jewelry una mail diretta ai giornalisti, in cui si sottolineava che la figlia del presidente aveva indossato in tv “il suo braccialetto favorito”. In seguito a polemiche molto accese, Ivanka si è scusata. Resta però che i Trump alla Casa Bianca potrebbero rivelarsi una straordinaria occasione di marketing per i prodotti di famiglia.
Mondo e banche – La rete degli interessi di Trump si estende ad almeno una dozzina di Paesi, dall’Azerbaijan alla Corea del Sud alla Cina al Dubai. Si tratta di hotel, campi da golf, proprietà immobiliari, linee di arredamento per la casa e di moda pronta. Se in Dubai la Trump Organization sta terminando un campo da golf, in Cina Trump produce le sue camicie e cravatte. Come si comporterà il presidente-eletto nei confronti dei Paesi in cui ha interessi commerciali? Come implementerà il possibile bando ai cittadini musulmani che vengono da quei Paesi dove Trump vende i suoi prodotti? Come condurrà la “guerra commerciale” promessa a suon di tariffe protezionistiche nei confronti della Cina, dove c’è parte della sua produzione? Esiste poi la grande incognita della Russia. Trump ha sempre negato di avere interessi commerciali in Russia. Il figlio Donald Jr. nel 2008 disse però che “un sacco di denaro ci arriva dalla Russia” e ci sono diversi resoconti di legami tra le attività immobiliari di Trump e finanzieri russi (per esempio il Trump Soho, finanziato attraverso il Bayrock Group). Come si comporterà Trump nei confronti di Mosca? E come sarà possibile non vedere in una sua entente cordiale con Vladimir Putin, la prova di questi stessi legami? Le imprese immobiliari del futuro presidente sono poi finanziate grazie ai prestiti di milioni di dollari provenienti da Deutsche Bank, Goldman Sachs, Bank of China. Ma Deutsche è oggetto di un’inchiesta del Dipartimento alla Giustizia per lo scandalo dei mutui subprime. E qualsiasi attacco da parte dell’amministrazione Trump alla Dodd-Frank, la legge che pone timide limitazioni alle transazioni bancarie e a difesa dei consumatori, potrebbe essere visto come un regalo del nuovo presidente al settore che finanzia i suoi affari.
Tax returns e FBI – Trump, in campagna elettorale, non ha voluto rendere pubbliche le sue dichiarazioni dei redditi, mettendo così fine a una consuetudine che si era imposta nelle campagne presidenziali Usa ormai da decenni. La ragione ufficiale del rifiuto sta nell’ispezione cui l’IRS, l’agenzia federale delle tasse, sta sottoponendo quelle stesse dichiarazioni. Si è detto, lo hanno detto i rivali politici di Trump, che la vera ragione sta nelle tasse federali non pagate in questi anni. Comunque, l’IRS è un’agenzia del Tesoro americano, il cui responsabile verrà nominato proprio da Trump. In altre parole, il Department of the Treasury USA si troverà a fare un’ispezione fiscale a carico del proprio principale referente. Sempre in tema di agenzie del governo, c’è l’FBI. Trump si troverà a decidere se tenere al suo posto James Comey, il direttore dell’FBI che con la riapertura dell’indagine sulle email di Hillary Clinton ha sconvolto la campagna elettorale USA. L’FBI sta però ancora indagando sugli episodi di cyberspionaggio verificatisi ai danni del partito democratico e della campagna di Clinton (le famose mail rese pubbliche da Wikileaks e che si sospetta siano state hackerate dai russi). Trump, attraverso la sua nomina dell’Attorney General – la scelta è caduta su Jeff Sessions – si troverà quindi a influenzare indirettamente un’inchiesta che riguarda i suoi rivali politici e da cui ha tratto un indubbio vantaggio durante la campagna. Altra potenziale ragione di conflitto, sempre relativa al Department of Justice, riguarda le leggi contro la discriminazione razziale e di genere. Con Barack Obama – e con i suoi attorney general Eric Holder e Loretta Lynch – il Dipartimento alla Giustizia e quello al Lavoro hanno difeso in modo particolarmente robusto i diritti di minoranze etniche e persone Lgbt, spesso contro gli interessi delle grandi imprese. Allentare la lotta contro le discriminazioni, potrebbe quindi portare vantaggi al grande business. Compresi gli affari di Trump.
Oleodotti, ambiente e costruzioni – Trump è un investitore in Energy Transfer Partners, la compagna di Dallas coinvolta nella costruzione dell’oleodotto Dakota Access, contro cui da mesi protestano i nativi americani e i gruppi ambientalisti. La scorsa settimana, l’Army Corps of Engineers ne ha bloccato la costruzione e chiesto un ulteriore riesame. L’amministrazione di Trump si troverà quindi a decidere di un progetto energetico del valore di 3,7 miliardi di dollari in cui Trump, da investitore, ha un interesse diretto. A parte le promesse elettorali di Trump di deregolamentare il sistema di controlli ambientali e di uscire dall’accordo sul clima di Parigi, c’è poi un altro tema. “Tradizionalmente, i progetti immobiliari confliggono con le regolamentazioni ambientali a livello federale e statale”, ha spiegato Michael Gerrard, un avvocato della Columbia Law School che si è opposto a un progetto di campi da golf di Trump nella contea di Westchester. In altre parole: Trump, come presidente, dovrà decidere se smantellare o implementare regole e controlli ambientali che potranno decidere dei suoi affari, come costruttore. A proposito di costruzioni, c’è poi il caso clamoroso del nuovo hotel inaugurato da Trump qualche settimana fa, in piena campagna elettorale, all’interno dello storico Old Post Office Pavilion (a poche centinaia di metri dalla Casa Bianca). L’edificio, di proprietà federale, è stato concesso in affitto per sessant’anni alla Trump Organization da un’agenzia federale, la General Services Administration (GSA). Chi dovrà nominare, tra qualche mese, il nuovo direttore della Gsa? Risposta: il nuovo presidente. Quindi Trump nominerà la persona da cui affitta una proprietà che gli permette di incassare milioni di dollari, anche qui in contrasto con la regola che proibisce al governo di stipulare contratti con funzionari federali.
I dipendenti di Trump – Trump si è sempre vantato di esigere una totale fedeltà a chi lavora per lui. Lo scorso settembre un gruppo per la difesa dei diritti sindacali ha denunciato il presidente-eletto presso il National Labor Relations Board (NLRB). L’accusa è quella di imporre contratti con un impegno di “confidenzialità” e segretezza troppo ampio, che finisce per impedire ai lavoratori di discutere le loro condizioni di lavoro e di rivolgersi, eventualmente, al sindacato. Di fronte al NLRB, ci sono però in questo momento altri dieci casi che coinvolgono Trump e le sue aziende. Tra questi, un caso di violazione dei diritti sindacali al Trump International Hotel Las Vegas, dove il management si è rifiutato di negoziare con la Culinary Workers Union. Trump, nei prossimi mesi, dovrà nominare due dei cinque membri del Nlrb. Se le nomine di Barack Obama erano state di membri vicini al sindacato, quelle di Trump, con ogni probabilità, saranno più sensibili alle esigenze del business. In ogni modo, i membri scelti da Trump si troveranno a decidere di una serie di cause di lavoro nelle imprese di Trump – a meno che questi decidano di astenersi dal voto in questi casi. Come ha spiegato Richard Painter, ex avvocato a capo alle questioni etiche per l’amministrazione di George W. Bush, “c’è un’apparenza di pregiudizio e di pressione politica che potrebbe minare il NLRB”.
Roberto Festa, Il Fatto Quotidiano