L’imprenditrice spiega come ha ottenuto fatturati in crescita, nonostante la crisi del settore. Fuori dai sondaggi elettorali, investimenti sul digitale
Il gruppo Doxa, che il prossimo 22 novembre celebrerà i suoi 70 anni, ha fatturati consolidati in costante crescita dal 2008, chiuderà il 2016 a quota 41,1 milioni di euro (+4% sul 2015, +41% dal 2011), con una ottima marginalità, buoni utili reinvestiti in azienda e 246 dipendenti (erano 160 nel 2011).
Controllato al 90% da Marina Salamon, il gruppo specializzato in ricerche di mercato, che comprende anche Doxa Duepuntozero (panel web), Doxapharma (indagini nel comparto farmaceutico e medico-clinico) e Connexia (agenzia di comunicazione da 11 milioni di euro di fatturato), si prepara ora a una fase espansiva che, nel medio periodo, porterà a stringere alleanze, fare acquisizioni e, in prospettiva, magari pure a quotare Doxa all’Aim. Però va detto in tutta franchezza che da oltre vent’anni il brand Doxa era completamente sparito dai riflettori dei media, soprattutto abbandonando il comparto dei sondaggi elettorali nel quale era stato pioniere, nel 1972, con le prime proiezioni in Italia.
Domanda: Presidente Salamon, perché questa fuga?
Risposta. Ho rilevato l’azienda nel 1991, 25 anni fa. E proprio negli anni 90 ho deciso di uscire al volo e con decisione dal mercato dei sondaggi elettorali. Un mercato che in quegli anni, con il cambio di legge elettorale e la discesa in campo di Silvio Berlusconi, era completamente nuovo.
D. Cosa non la convinceva?
R. In quel comparto un flusso regolare di lavoro poteva essere commissionato solo dai quotidiani. Che però non pagano molto. E in tv, al di là dei dati di ricerca più o meno buoni, avevano e hanno bisogno soprattutto di facce, di personaggi. Insomma, un business che non mi interessava
D. Tanta immagine, poca ciccia?
R. È un comparto rimasto piccolissimo, dove le società di ricerche hanno ricavi marginali. Insomma, tanti grandi cuochi che vanno in tv ma che poi, alla fin fine, rimangono col loro piccolo ristorante in provincia. Doxa, quindi, è uscita da lì: noi, con la nostra reputazione e indipendenza, non spendiamo energie in quella direzione. E ci siamo concentrati sulla reputation, lavorando più di tutti, ma per le aziende, i brand e i personaggi.
D. Chi sono i vostri concorrenti in Italia?
R. Possono essere Ipsos o Gfk Eurisko, multinazionali che lavorano in Italia. Ma l’Italia è un mercato che, agli occhi di una multinazionale, conta pochissimo, un mero mercato di sbocco. Doxa, invece, è rimasta italiana. E l’Italia, per Doxa, è un luogo in cui sviluppare e ricercare. E abbiamo iniziato un trend di crescita fortissimo proprio dal 2008-2009, gli anni della crisi dei budget.
D. E come avete fatto? Proprio dal 2008 nel settore delle ricerche di mercato sono crollati i budget che le aziende dedicavano alle ricerche e i compensi ai ricercatori
R. Non perché siamo più bravi, ma perché siamo italiani e lavoriamo col cuore e al meglio sul mercato italiano. Da subito abbiamo investito tantissimo sul digitale, integrando big data, analytics, social media, e dal 2009 aggiungendo Connexia (relazioni pubbliche, digital pr, ndr), offrendo così ai clienti una consulenza strategica con un progetto integrato.
D. Doxa è scomparsa dai programmi televisivi elettorali, ma ha anche comunicato pochissimo negli ultimi vent’anni
R. Sì, è vero. Abbiamo fatto le cose prima di spiegarle, zitti, in un processo di grande trasformazione, mollando la tv. Doxa non si schiera politicamente, non costruisce personaggi da mandare in tv. Siamo rigorosi e seri, creiamo posti di lavoro intelligenti in Italia, rispetto ad attività fatte quasi esclusivamente di immagine televisiva che non creano né fatturati né posti di lavoro. Siamo stati fermi e silenziosi su tutto. Ora è tempo di raccontare la nostra storia, seria e vera. Anche perché, nel medio e lungo termine, ci sono intenzioni di allargare il perimetro, stringere alleanze, fare acquisizioni e, in prospettiva, magari pure quotare Doxa all’Aim.
D. Ma in Italia c’è spazio per crescere nel mondo delle ricerche?
R. Se parliamo di ricerche di mercato alla vecchia maniera, sarà molto dura. Bisogna diventare una cosa molto più ampia e integrata: o Prada o Zara, non c’è spazio per attività intermedie. In Italia c’è stata una imprenditoria eccellente nel manifatturiero. Credo che sia tempo che quei livelli di eccellenza si raggiungano pure in quello che un tempo si chiamava terziario avanzato, nei servizi, con gli stessi criteri di rigore, di investimenti, di creazione di valore. Noi di Doxa abbiamo integrato ormai da tempo le ricerche con i big data, l’analytics, il marketing e la comunicazione. Non ragioniamo con le logiche del «cresci e poi vendi», non inseriamo membri della famiglia in azienda, non abbiamo un management «toccata e fuga». Vilma Scarpino, ceo del gruppo Doxa e socia al 10%, l’ho presa che stava finendo la tesi all’università, ed è ancora qui.
D. L’analisi e l’elaborazione dei big data e dell’attività sui social network rendono meno centrali la vecchia indagine telefonica o i focus group?
R. No. I big data e il mondo social, da soli, non bastano. Necessario integrare le fonti di ricerca. Doxa ha i call center di proprietà, con dipendenti diretti. E abbiamo un nostro panel, patrimonio esclusivo, sul web con 50 mila individui che stanno salendo a 80 mila. Queste persone partecipano alle nostre indagini ricevendo, in cambio, o la possibilità di fare donazioni benefiche, e le fanno in molti, o ricariche al cellulare. Poi è necessario fare anche interviste personali o telefoniche, e i focus group fisici o online. Altrimenti, solo col web, rischi di avere universi di riferimento troppo giovani e meno rappresentativi.
D. Come festeggerete i 70 anni di Doxa?
R. Molto semplicemente: il 22 novembre invitiamo i clienti e tutte le persone che lavorano con noi al piano terra della nostra sede, a Milano in via Panizza 7. Con il catering a cura di Cuochi a colori.
Italia Oggi