di Cesare Lanza
Scommettiamo che il lungo periodo di transizione (dal giorno della sua elezione a quello del suo insediamento a gennaio: più di due mesi) sarà per Donald Trump impervio e pieno di problemi? Michael Bruce Sterling, un autore americano di fantascienza, che oggi vive a Torino, ha scritto: «Nessuna transizione provocava la fine del mondo. Una rivoluzione aveva solo trasformato uno strato in concime della storia, comprimendo ciò che adesso giaceva sepolto, portando luce e aria a cose nascoste». Dalla fantascienza alla realtà, mi sembra l’immagine di ciò che oggi sta succedendo negli Stati Uniti. La «transizione» è una parola fascinosamente letteraria, nella storia italiana: basti pensare al passaggio dal Medioevo al Rinascimento. Poi, svilita, è stata utilizzata per i governi provvisori, quelli in cui premier e ministri approfittavano delle ultime ore di potere per assegnare privilegi e promozioni ai loro cortigiani. A Washington no, la transizione da un presidente all’altro era abitualmente corretta. Con Trump invece i segnali sono inquietanti: il neoeletto fa paura. Hillary Clinton, sconfitta, dà la colpa all’Fbi; in vari Stati, fatto inaudito, si verificano violente manifestazioni contro l’esito, sgradito, delle elezioni. Come fu in Italia, contro Silvio Berlusconi e, oggi, verso Virginia Raggi. La democrazia sparisce, se l’avversario, pur democraticamente eletto, non piace. Un esperto mi dice che non si stupirebbe affatto, se a breve venisse costruito un tentativo di impeachment verso Trump. Ma spero proprio di no.
Cesare Lanza, La Verità