Ricerca Censis-Concooperative: sono 175mila ed operano nei servizi, nell’informatica e nel turismo
Non ci sono solo i “Neet”, i giovani che non studiano, non lavorano e non cercano un’occupazione. Ci sono anche gli “Eet”, che sono l’esatto opposto. Certo sono molti di meno, ma ci sono, mettono a frutto le loro competenze, s’inventano mestieri, aprono nuove imprese e producono ricchezza. Sono gli “Employed-Educated and Trained”, quelli che ce la fanno insomma. In tutto sono ben 175mila, certifica il Censis che per conto di Confcooperative ha condotto una ricerca sui giovani “dell’Italia che ce la fa”, ed operano nei settori più vari, dai servizi d’informazione all’informatica, dalla ristorazione ai servizi alle imprese.
Nord/Sud testa a testa
Oggi i titolari d’impresa under 29 sono per lo più concentrati al Nord (24,7% Nord-Ovest, 15,7% Nord-Est) ma sono molto presenti in forze anche nel Mezzogiorno (41,1%) contro il 18,5% delle regioni centrali. È vero – spiega la ricerca – che tra il 2009 e il 2016, a fronte di una riduzione complessiva del 6,8% dei titolari d’impresa, la componente più giovane ha subito un calo del 19,1%, perdendo poco più di 41.000 giovani aziende. Ma ci sono settori in crescita in cui le imprese guidate dai giovani mostrano invece un saldo positivo. Ed è una dinamica che vede crescere del 53,4% il numero dei giovani titolari d’impresa nei servizi d’informazione e altri servizi informatici, del 51,5% nei servizi per edifici e paesaggio, del 25,3% nei servizi di ristorazione. Nelle attività legate alla gestione di alloggi per vacanze e altre strutture per soggiorni brevi l’incremento è del 55,6%. Raddoppiano, inoltre, i giovani imprenditori nelle attività di supporto per le funzioni d’ufficio e i servizi alle imprese (+113,3%).
Nonostante la crisi, che ha ridotto del 30% gli occupati nella fascia d’età 15-29 anni a quota 2,6 milioni, nel complesso i giovani che lavorano valgono 46,5 miliardi di euro, il 2,8% del Pil. Rappresentano infatti l’11,7% degli occupati complessivi e incidono sui redditi da lavoro per il 7,3%. Di contro i Neet ci costano ben 21 miliardi di euro in termini di perdita di produttività. I giovani nella fascia d’età 15-29 anni che non studiano e non lavorano sono infatti 2.349.000 in aumento del 31,4% rispetto al 2007. Il loro mancato inserimento nel mercato del lavoro – spiega la ricerca del Censis – si traduce per l’Italia in un costo per perdita di produttività pari all’1,3% del Pil.
Il peso dell’istruzione
Lo studio conferma anche che investire in istruzione conviene. Oggi il 43,5% di chi si è diplomato nel 2011 lavora e, fatto 100 il totale di chi lavora, il 25,3% è occupato con un contratto a tempo indeterminato e il 33,8% con un contratto a termine. L’11,5% ha scelto la strada del lavoro autonomo, mentre l’8,7% ha dichiarato di lavorare senza contratto. In termini economici, sono i dipendenti a tempo indeterminato a ottenere il livello retributivo più elevato, con un importo pari a 1.100 euro, mentre chi lavora come autonomo guadagna in media 811 euro, cioè meno del valore medio riconducibile a tutti i diplomati occupati (850 euro). Nel 2015, a quattro anni dalla laurea, il 72,8% dei laureati di I livello ha dichiarato di lavorare, contro il 19,7% che è in cerca di lavoro. I laureati magistrali hanno una migliore condizione lavorativa, dal momento che ha dichiarato di lavorare l’83,1% del totale. La quota di chi è in cerca di lavoro è pari al 13,1%. La quota di dirigenti, imprenditori e professionisti raggiunge il 59,2% per i laureati di II livello, mentre si ferma al 23,9% per chi è in possesso di una laurea triennale. La distanza fra i due gruppi si può misurare anche in base alla differenza di reddito guadagnato, pari in media a 117 euro a favore dei laureati di II livello. Questi ottengono 1.400 euro di reddito netto mensile, ma con una forbice non indifferente tra uomini e donne (rispettivamente, 1.575 euro e 1.300 euro).
Un messaggio di speranza
Commenta il presidente di Confcooperative, Maurizio Gardini: «I dati della ricerca non ci dicono che tutto va bene, ma emerge chiaramente che non ci sono solo i Neet. Ci sono anche giovani che ce la fanno e vincono la crisi con un’idea d’impresa. Noi vogliamo dare un messaggio di speranza a chi non riesce a entrare nel mondo del lavoro. L’analisi ci dice che ci sono dei germogli di ripresa segnali di vivacità da incoraggiare e perseguire. È tempo di insistere e di guardare al futuro. È lo sguardo dei cooperatori che è rivolto al futuro, pensano a costruire un’impresa oggi per tramandarla domani alle future generazioni di soci. Molti cooperatori di oggi non erano neanche nati quando la loro cooperativa era già impegnata nell’agroalimentare, nel credito, nel sociale, nei servizi, nel consumo, nell’abitazione, nella pesca».
Paolo Baroni, La Stampa