Microbi antieconomici — È almeno ipotizzabile che l’enorme successo mondiale—praticamente in tutti i campi immaginabili—dalla fine della Seconda Guerra Mondiale si stia lentamente rivelando una bolla, un’anomalia statistica temporanea sulla curva lunga che traccia il progresso umano. La globalizzazione economica ha portato molti benefici, ma ha anche fatto sì che non ci sia più dove nascondersi quando i mercati e le grandi banche fanno “bum”. Del terrorismo, non parliamone, ma in generale la stabilità politica sta venendo meno. C’è una netta tendenza verso l’emergere di unità politiche sempre più frammentate. Ci sono più paesi, più piccoli e più deboli. È un po’ come se il mondo non potesse più permettersi il lusso di tenere tutto insieme. Politica e economia sono fenomeni volubili, caratterizzati dall’instabilità. Il vero, grandissimo trionfo dell’umanità negli ultimi settant’anni è stato nel campo sanitario, soprattutto con la scoperta degli antibiotici. Perfino nei paesi più poveri abbiamo largamente smesso di morire di malattie e di ferite “stupide”, a tal punto che l’attesa di vita mondiale è cresciuta del 37% dal 1960. Nei paesi più tradizionalmente miserevoli, nel sud dell’Asia per esempio, quel valore è salito di oltre il 60%. Bene, la pacchia sanitaria sta finendo. Malattie che fino a pochi anni fa si risolvevano con un “blister” di antibiotici non sono più curabili. I microbi si evolvono come tutti gli organismi e per la “troppa frequentazione” con le nostre medicine sono diventati resistenti ai loro effetti curativi. Per citare un unico esempio, in una recente ricerca condotta nel Ghana su oltre 1.600 campioni di batteri, oltre l’80% sono risultati resistenti ai più comuni antibiotici di prima generazione—ampicillina e tetraciclina—e il 50% a quelli moderni di terza generazione, come le cefalosporine e i chinolonici. Il tema generale non è nuovo, ma forse perché siamo tutti intimamente convinti di essere immortali, non ha mai suscitato grande interesse. Ora però il fenomeno va a toccare i nostri soldi. Un recente e autorevole studio della Banca Mondiale tenta di stimare gli effetti della progressiva crescita della “resistenza microbiale” sull’economia globale e raggiunge delle conclusioni allarmanti. Nel caso più ottimistico, con un impatto limitato del fenomeno, la Banca prevede che il “PIL mondiale” perderà l’1,1% di crescita annua entro il 2050, con un “ammanco” annuale nei conti del globo di oltre un trilione (mille miliardi) di dollari a partire dal 2030. Questa è la stima all’acqua di rose. Se va proprio male invece, la crescita globale perderà piuttosto il 3,8% l’anno, provocando un buco superiore ai $3,4 trilioni annui, sempre a partire dal 2030. Mancano poco più di 13 anni a quella data. Secondo le stime della Banca Mondiale, a causa dell’accresciuta resistenza agli antibiotici, tra gli 8 e i 24 milioni di persone ricadranno nella più gretta povertà entro il 2050, le esportazioni globali caleranno tra l’1,1 e il 3,8%; per il 2050 i costi sanitari saliranno alle stelle ovunque, anche del 25% nei paesi a basso reddito; infine la produzione globale di bestiame—perché anche gli animali domestici si curano con gli antibiotici—scenderà tra il 2,6 e il 7,5%, mentre nei paesi più poveri potrebbe crollare dell’11%. Se non si riesce a contrastare il trend, moriremo prima, più poveri e senza bistecche.
di James Hansen