LE GAMBE SONO MENO FERME, LA VOCE IMMUTATA, LA RISERVATEZZA SCOMPARSA
di CESARE LANZA, Italia Oggi
Una ventina di minuti di ritardo sull’orario previsto, finalmente un vecchietto che avanza sul palco, stentando i passi: è vestito più o meno come mi vesto io, malmesso, «scappato da casa», come dice mia moglie. Una giacchetta dimessa, grigia, una polo azzurrina, pantaloni grigi da impiegato di ultima categoria.
Ma poi il vecchietto, in piedi, comincia a cantare, un po’ rigido, curiosamente si batte le mani a palmo aperto sui fianchi e così si capisce che tiene il tempo: ogni tanto allarga la mano sinistra, in modo altrettanto inconsueto, per dare qualche comando alla sua magnifica orchestra. È Paolo Conte. A quasi 80 anni, la voce sempre straordinaria, il suo talento affascinante particolare, nella sala gremita ed entusiasta si avverte la sensazione che stiamo assistendo a un evento fuori dal comune. Applausi e urla di entusiasmo sono quasi di continuo, durante il concerto. L’ultima volta, lo avevo visto una decina di anni fa, Conte mi sembra molto cambiato nei comportamenti. Certamente, salvo che per la voce, è palpabile la vecchiaia. Ma dieci anni fa era ruvido, sdegnoso come sempre era stato, nessuna compiacenza verso il pubblico e gli applausi: sempre seduto al pianoforte, e alla fi ne se ricordo bene neanche un cenno di saluto col capo e subito via dalla scena. Ieri, ha cantato alternandosi in piedi al microfono e seduto al pianoforte. Forse c’è stata qualche piccola astuzia, maggior spazio all’orchestra (bravissimi, per me, soprattutto il chitarrista e il violinista), le canzoni del repertorio scelte, quasi tutte, tra quelle meno impegnative. Forse. Ma certamente c’è stato un pizzico di umanità e di tenerezza in più, da parte del vecchio astigiano…ad esempio, alla fine, è tornato quattro volte in scena: una volta per concedere una canzone in più, altre tre volte – senti senti – per salutare il pubblico e dare soddisfazione ai suoi seguaci. L’incantesimo è durato 40 minuti nella prima parte, poi 20 minuti di intervallo, e poi ancora 60 minuti di godimento. Colgo questa occasione per aggiungere quanto mi piaccia questo protagonista, privo di ambiguità, per la sua riservatezza, per l’amore per le sue campagne, per il rifiuto di ogni forma di mondanità. Non ho mai capito bene cosa volesse dire con una sua celebre frase: «Si nasce e si muore soli. Certo in mezzo c’è un bel traffico». La mia opinione è che, a parte alcuni orribili casi di cronaca in cui i neonati vengono lasciati tra le immondizie e neanche più, come una volta, davanti a una chiesa, si nasce tutt’altro che soli, accolti con esagerate e insensate (alla lunga incoerenti) manifestazioni d’affetto. E si nasce senza che sappiamo perché, all’origine uno schizzetto, forse di amore e forse di rabbia, di distrazione o di casualità. Quanto a morire, sì, è vero, la solitudine c’è quasi sempre, anche se non è sempre manifesta e plateale (e per legge non abbiamo neanche la soddisfazione di decidere di per nostra scelta o che qualcuno possa farci morire per compassione e generosità).