Più telefonini e iPad per guardare i programmi televisivi. L’intesa fra At&T e Time Warner punta sulle nuove scelte. Adesso spetta all’Antitrust stabilire i confini della fusione. Critiche di Trump sull’operazione
«Troppo potere nelle mani di un gigante delle telecomunicazioni: in Time Warner c’è anche la Cnn. Da presidente vieterò la conquista di Time Warner da parte della AT&T». A Donald Trump sono bastati pochi minuti per bocciare senza appello l’acquisizione da 85 miliardi di dollari annunciata sabato sera dai «board» delle due compagnie che hanno approvato, unanimi, l’operazione.
Il giudizio delle Authority
Ma le «authority» Usa chiamate ad analizzare l’affare non potranno cavarsela con un giudizio così sbrigativo. La fusione, che molti considerano comunque critica dal punto di vista dei vincoli antitrust, dovrà essere valutata dal ministero della Giustizia e dalla Fcc, la Commissione per le comunicazioni, valutando condizioni economiche, rischi per i consumatori, ma anche l’evoluzione tecnologica della tv e delle reti di comunicazione.
Le gemme di Time Warner
In effetti la prima sensazione è quella di una grande concentrazione di potere mediatico: AT&T, gigante delle reti e di Internet, acquisisce un gruppo che è forse il miglior produttore di contenuti televisivi d’America. Le gemme della corona di Time Warner sono Hbo con serial di grande successo, dal «Trono di spade» ai «Sopranos», l’informazione della Cnn e lo sport di Tnt a partire dai diritti per il basket della Nba, ma nel gruppo ci sono anche altri canali come Cartoon Network e Hln, oltre il cinema degli studi della Warner Bors.
Il rischio per gli utenti
Il rischio, dal punto di vista degli utenti, è che, in un sistema già polarizzato, la fruizione di questi programmi diventi più costosa o che AT&T tenti di renderli accessibili solo agli abbonati alle sue reti. L’azienda si è impegnata a non farlo. Economicamente, del resto, ha più senso distribuire i programmi a un mercato più vasto, ma c’è sempre il rischio che agli utenti AT&T venga garantito un trattamento preferenziale rispetto a chi usa altri «carrier» come qualità o velocità di connessione. Anche su questo c’è l’impegno delle società delle reti a non violare il principio della «net neutrality», ma la tecnologia in continua evoluzione fa emergere strumenti sempre nuovi che consentiranno di offrire comunque a una platea più ristretta un servizio di qualità più elevata.
Il futuro della televisione
Oltre che all’obiettivo di massimizzare sinergie e risultati economici, però, questo «deal» — come del resto quello, simile, concluso tre anni fa dal gigante del «cable» Comcast che comprò da General Electric il gruppo televisivo Nbc — guarda al futuro della televisione: l’elettrodomestico che abbiamo in salotto è sempre meno centrale, i programmi televisivi sono sempre più visti, soprattutto dai giovani e soprattutto negli Stati Uniti, sul telefonino o sull’iPad. I palinsesti delle reti perdono significato, mentre diminuisce il peso degli abbonamenti. Operatori come Netflix e Amazon hanno già da tempo cominciato a rivoluzionare il mercato: ognuno vede quello che vuole, quando vuole e paga quando consuma.
L’operazione
È questa la logica dell’operazione legata al modo in cui l’evoluzione tecnologica modifica il comportamento degli utenti. Difficile per l’Antitrust giudicare l’affare in una situazione in movimento e sulla base di norme che fanno riferimento a una realtà ormai superata. Ma anche le due compagnie che hanno concluso l’affare e che oggi si dicono molto soddisfatte, dovranno fare i conti con l’imprevedibilità insita in questi mutamenti repentini. Comprensibile la gioia del capo di Time-Warner, Jeff Bewkes: criticato quando si era rifiutato di cedere l’azienda alla 21Century Fox di Murdoch per 85 dollari per azione, ora ne ha ottenuti ben 107 dalla AT&T.
I dubbi sull’affare
Fatti felici gli azionisti, bisogna ora vedere se l’affare funzionerà secondo le previsioni. Sulla carta funzionava anche l’affare di 16 anni fa, quando Aol comprò Time Warner per 160 miliardi di dollari: doveva essere l’inizio di una nuova era della comunicazione. Invece fu un disastro che finì in divorzio.
di Massimo Gaggi, il Corriere della Sera