L’EX COMPAGNIA DI BANDIERA HA I CONTI ANCORA IN ROSSO, LA CURA ETIHAD È RIMASTA A METÀ E NON PUÒ REGGERE LA CONCORRENZA DI O’LEARY CHE PROMETTE ANCHE 3MILIONI DI PASSEGGERI IN PIÙ VERSO IL BELPAESE E GLI SCALI MINORI
La guerra dei cieli italiani si avvicina al redde rationem. Il piano di rilancio di Alitalia, un dejà vu, stenta a decollare. E Ryanair sta provando a dare la spallata finale alla ex-compagnia di bandiera, in una battaglia senza esclusione di colpi in cui James Hogan, ad di Etihad, ha già tirato in mezzo il governo di Matteo Renzi. La posta in palio è chiara e Dublino – che sente il vento in poppa – canta già vittoria. «L a vera compagnia italiana siamo noi» ha detto questa settimana senza mezze misure Kenny Jacobs, il numero uno del marketing dell’aerolinea irlandese, lanciando 44 nuove rotte nel nostro paese per l’estate 2017.«Ryanair cresce, loro tagliano le tratte a breve raggio. E un vettore che perde 200 milioni con il petrolio a 40 dollari al barile non è certo uscito dalla crisi». L’ultimo fronte I numeri, in qualche modo, gli danno ragione: Dublino ha fatto volare nei cieli tricolori nel 2015 più di 29 milioni di passeggeri, contro i 23 di Alitalia. Il podio del traffico internazionale da e per il Belpaese vede sui due gradini più alti la compagnia irlandese (19,5 milioni di clienti) e Easyjet (11,6) con la società italiana solo terza con 10,6. L’obiettivo del gruppo di Michael O’Leary è evidente: dare l’assalto alla ultima roccaforte di Alitalia, il mercato dei voli domestici, approfittando della debolezza finanziaria della società. Sui voli interni il vettore tricolore era ancora primo nel 2015 con 12,1 milioni di
clienti, 2 in più di Ryanair. Ma nel 2017 i ruoli potrebbero invertirsi. Questa situazione, in fondo, non è una sorpresa. La concorrenza delle low cost e l’impossibilità di competere con loro a livello tariffario è da sei anni il tallone d’achille di Alitalia e la causa principale del buco da 780 milioni accumulato nei conti tra il 2014 e il 2015. L’ingresso nel capitale di Etihad aveva promesso una svolta: «Creeremo la compagnia più sexy d’Europa!» aveva promesso Hogan. Come? Tagliando i voli domestici e continentali meno profittevoli per puntare tutto sul lungo raggio con l’ingresso in flotta di nuovi aerei per le tratte intercontinentali, con nel mirino il pareggio dei conti dal 2017. Due anni dopo però, la ricetta degli Emirati ha funzionato solo a metà: la cura dimagrante c’è stata. I 137 aerei con la livrea tricolore presenti in flotta nel settembre 2014 sono scesi a 124. Quelli per destinazioni a lungo raggio sono aumentati, ma solo da 22 a 24 e utilizzati soprattutto per collegare diverse città italiane con Abu Dhabi e trasferire i passeggeri sui jet Etihad verso il Far East. Altri 20 dovrebbero arrivare in futuro. Ma per ora le nuove rotte inaugurate (Santiago, Città del Messico, Pechino e ora Cuba e Tenerife) non sono bastate a rimettere in rotta i risultati. E l’emorragia di perdite della compagnia, dice il tam-tam di settore, continua. Risultato: il copione – malgrado il cambio di proprietà – è il solito degli ultimi dieci anni. Ethiad è in forcing per costringere i sindacati a mandare giù l’ennesima ristrutturazione, scucire al Governo qualche concessione o convincerlo ad arginare l’offensiva dello low-cost e per ottenere dalle banche l’ok a mezzi freschi per un nuovo aumento di capitale o la conversione di crediti in forme di partecipazione azionaria. La solita via crucis, accompagnata da qualche intervento di lifting contabile (dopo la vendita ad Etihad del programma Loyalty che ha dato una rinfrescata ai conti 2015, quest’anno le sono stati ceduti altri slot a Londra Heathrow) che non basterà – come dice il tam tam di settore – a centrare il pareggio nel 2017. Le forze in campo Ryanair, fiutata l’occasione, ha messo in cantiere l’offensiva finale. Una partita giocata su più tavoli e (forse) con qualche carta segreta. I mezzi non mancano. Negli ultimi due esercizi Dublino ha fatto due miliardi di utili. Ha 50 aerei nuovi l’anno in ordinazione e l’Italia che oggi è il terzo mercato per la società – ha ancora ampi margini di crescita («arriveremo a 35 milioni di passeggeri nel 2017», garantisce Jacobs). Il primo successo ottenuto dal fronte di O’Leary in questa battaglia è stato politico. A inizio anno la società – con la tradizionale muscolarità delle sue scelte – ha annunciato dalla sera alla mattina la chiusura delle basi di Pescara, Alghero e Crotone per protesta contro l’aumento delle tasse aeroportuali che va in buona parte a finanziare il Fondo per i prepensionamenti dei piloti Alitalia. Mossa riuscita. Il governo ha fatto marcia indietro ed eliminato l’aumento del balzello. Il ministro ai trasporti Graziano Delrio ha fatto un po’ di manutenzione al decreto aeroporti prolungando la possibilità per gli aeroporti regionali di incentivare le low-cost con sussidi per circa 100 milioni l’anno che si traducono in sconti all’handling e ai servizi o acrobatiche operazioni di co-marketing. E Ryanair ha fatto marcia indietro. Riaprendo Pescara (su Alghero si sta trattando) aggiungendo 10 aerei e 44 nuove rotte al network tricolore e rafforzando la sua presenza a Malpensa dove – secondo le indiscrezioni – si sta programmando uno sviluppo importante. Hogan ha protestato per l’ennesimo “aiutino” alle aerolinee a basso prezzo, ha tirato per la giacchetta il governo per non aver mantenuto le sue promesse con Alitalia (la revisione del Decreto Linate per poter volare dal Forlanini ad Abu Dhabi e incentivi per sostenere e accompagnare le nuove rotte intercontinentali). Da Roma però ha ottenuto solo risposte “freddine”: «Ci incontreremo, ma abbiamo punti di vista diversi, molto diversi », ha detto Delrio. Anche perchè i 3 milioni di nuovi passeggeri in più previsti da Ryanair in Italia nel 2017 sono un boccone importante per il turismo tricolore. E la salvezza di alcuni aeroporti minori con i voli del vettore irlandese è un buon biglietto da visita in periodi densi di appuntamenti elettorali. Il nodo intercontinentale La partita sul breve medio- raggio non tocca, in teoria, il potenziale Eldorado dell’Alitalia del futuro: i voli intercontinentali. Quelli grazie a cui la cura- Etihad dovrebbe riportare in equilibrio i conti. Anche qui però non è detto che Ryanair non possa giocare un ruolo. Come avversario o come alleato. Difficile, anzi quasi impossibile, che Dublino si lanci da sola sulle tratte low-cost a lungo raggio. La lezione in America della Southwest però è chiara: una compagnia a basso prezzo può diventare il “fornitore privilegiato” di passeggeri a lungo raggio grazie a una rete di collegamenti verso un hub. Fanta- aviazione? Non più. Il gruppo di Michael O’Leary sta sperimentando le tecnologie per eliminare le barriere tecnologiche, in particolare i sistemi informatici per consentire di inviare i bagagli direttamente a destinazione. E ha raggiunto un accordo con Norwegian Airlines per costruire un network di collegamenti per alimentare i voli del vettore norvegese in partenza da Londra Gatwick per destinazioni intercontinentali. Trattative per intese simili sono in corso con Aer Lingus. In teoria pure Fiumicino o Malpensa potrebbero diventare basi valide per accordi di questo tipo con l’inedita alleanza tra low-cost e aerolinee tradizionali. Magari persino con Alitalia. Se son rose fioriranno. Una cosa è certa. La congiuntura d’oro degli ultimi due anni (traffico in crescita e petrolio a prezzi di saldo) è finita. La quotazione del greggio è tornata a crescere, le compagnie hanno aggiunto troppa offerta e i costi dei biglietti hanno iniziato a scendere mettendo sotto pressione redditività e i titoli in Borsa. Un combinato disposto che potrebbe complicare il tentativo di rilancio di Alitalia e decidere il risultato delle scontro con Ryanair, Nei grafici qui sopra, i conti di Ryanair e Alitalia a confronto A lato, l’ad di Etihad James Hogan.
Repubblica