Nel suo testamento l’imprenditore si augura che sia il gruppo olandese a rilevare la sua catena di supermercati: con 6.500 punti vendita, 350mila dipendenti e una presenza in 11 paese sarebbe il partner ideale
Mai una Coop, mai italiana. E possibilmente neppure spagnola. Per il futuro della sua Esselunga, Bernardo Caprotti aveva scelto il colosso olandese Ahold che – in piena estate, due anni dopo la stesura del testamento dell’imprenditore italiano – è convolato a nozze con la belga Delhaize. Ironia della sorte: la sposa è la stessa catena con cui Caprotti intavolò una serie di discussioni qualche anno fa. I tempi, probabilmente, non erano ancora maturi. Il congelamento del processo di vendita di Esselunga per i prossimi mesi, però, è più di un indizio: ad Ahold serve un po’ di tempo per digerire l’ultima fusione prima di iniziare a scandagliare il mondo Esselunga. Stesso discorso per la moglie Giuliana Albera e la figlia Marina Caprotti, che avranno bisongo di tempo per prendere le redini della situazione ed ereditare un’azienda, che il suo fondatore disse è pesante da gestire e “pesantissimo da possedere”.Di certo i mercati credono nella potenzialità del gruppo olandese: negli ultimi cinque anni il titolo è cresciuto del 120%.
Se Delhaize aveva visto in Esselunga il potenziale partner per la sua catena, è probabile che adesso anche gli olandesi di Ahold – espressamente menzionati da Caprotti nel suo testamento – la pensino allo stesso modo. D’altra parte il futuro della grande distribuzione passa attraverso crescenti energie di scala capaci di far lievitare i volumi per evitare una compressione di margini. E per Ahold non dovrebbe essere uno scoglio proibitivo la valutazione da 7 miliardi dei supermercati italiani: il gruppo olandese ha una capitalizzazione da 26 miliardi e ha chiuso il 2015 – bilancio ricalcolato pro forma dopo la fusione – con ricavi per 60,8 miliardi e un utile netto di 1,2 miliardi. Il margine operativo è nell’ordine del 6,5%, poco meno di Esselunga.
Gli olandesi comunque valuteranno con calma se e quando assecondare le ultime volontà di Caprotti: sono una public company con 350mila dipendenti, tra i primi azionisti figurno i di Blackrock (3,1%) e Mandarin Investments Partner (2,4%). Negli anni la sua rete è cresciuta a dismisura fino ad arrivare a contare 6.500 negozi in undici Paesi: dall’Olanda al Belgio, dalla Cechia alla Germania; dalla Grecia al Lussemburgo fino alla Romania e alla Serbia. Oltreoceano sono in crescita negli Stati Uniti e attraverso due joint venture operano in Portogallo e Indonesia. Nel complesso hanno 22 diversi marchi con formati che vanno dal supermercato all’ipermercato, dai vini ai liquori, dal drugstore al negozio di verdura fresca del Massachussets.
di GIULIANO BALESTRERI e SARA BENNEWITZ, La Repubblica