Nelle sue ultime volontà, il patron del gruppo distribuisce il suo patrimonio, fissa la strategia aziendale, si toglie qualche sassolino dalla scarpa. E auspica che con la sua morte cessino le liti familiari
Esselunga non dovrà mai finire alle Coop. Bernardo Caprotti l’ha ripetuto mille volte in vita. L’impegno passa però ora ai suoi eredi. Il testamento del patron della più grande catena di supermercati tricolore – “molto sofferto” scrive lui stesso – è tranchant. E oltre a spartire azioni, soldi, case, castelli, quadri, Bentley e fucili da caccia tra i due rami di una famiglia dilaniata dalle lotte dinastiche, traccia la rotta per il futuro dell’impero di casa: “Attenzione – mette nero su bianco nelle ultime due righe del documento di 13 pagine che la Repubblica ha potuto esaminare -: la società è privata, italiana, soggetta ad attacchi”. Le sue ultime volontà sono così precise: Supermarkets Italiani, fa verbalizzare dal notaio, “può diventare una Coop. Questo non deve succedere”. Meglio cercare un alleato o un compratore all’estero. Trovando all’azienda “quando i pessimi tempi italiani fossero migliorati, una collocazione internazionale”. Quale? Caprotti lascia pochi spazi di manovra a chi verrà dopo di lui: “Ahold (colosso olandese della grande distribuzione, ndr) sarebbe ideale. Mercadona (rivale spagnolo) no”.
Il documento steso il 9 ottobre 2014 nello studio Marchetti è una fotografia impietosa e cruda della Dinasty Esselunga. “Dopo tante incomprensioni e tante, troppe amarezze – dice il testamento – ho preso una decisione di fondo per il bene di tutti, in primis le diecine di migliaia di persone i cui destini dipendono da noi”. La spartizione del capitale (70% di Esselunga e 55% dell’immobiliare a Giuliana Albera e a sua figlia Marina, il resto in parti uguali ai figli di primo letto, Giuseppe e Violetta) garantisce una chiara guida azionaria al gruppo. “Famiglia non ci sarà – scrive realista Caprotti -. Ma almeno non ci saranno lotte. O saranno inutili, le aziende non saranno dilaniate”.
Il loro futuro però, lo ammette lui stesso, è segnato: Supermermarkets Italiani è una società “attrattiva. Con Tornatore (Giuseppe, il regista da Oscar di “Nuovo cinema paradiso” che ha realizzato il cortometraggio “Il mago di Esselunga”, ndr) lo è divenuta di più. Però è a rischio. E’ troppo pesante condurla, pesantissimo “possederla”, questo Paese cattolico non tollera il successo”. E i concorrenti – ora che il fondatore non c’è più – sono in agguato per cogliere la palla al balzo.
La divisione dei beni affidata alle ultime volontà con precisione certosina (la stessa con cui curava i suoi supermercati) dovrebbe consentire – negli auspici del fondatore – a evitare “ulteriori contrasti e pretese” consentendo a tutti “di vivere in pace nei propri ambiti”. Non sarà facile. Lo stesso testamento, del resto, è la prova di come le divisioni in famiglia siano ancora profonde e le posizioni lontanissime. La decisione di rivedere la prima versione dell’eredità risale a luglio 2010, quando Caprotti licenzia Paolo De Gennis, vice presidente di Esselunga e storico manager fin dalle origini della gestione Rockefeller. “Il disegno di ripartizione e continuità familiare, business soprattutto, che con tanta fatica e sofferenza avevo costruito già oltre 16 anni fa – si legge nel documento – è definitivamente naufragato la sera del 30 luglio 2010. Ora dopo anni di battaglie legali e di pubbliche maldicenze da parte di Violetta e Giuseppe, ho destinato e destino le partecipazioni nelle due aziende che ho creato e che mi appartengono, in modo tale da dare tranquillità e continuità alle imprese, salvaguardando però i diritti di tutti i miei aventi causa, secondo la legge”.
L’uscita di De Gennis, arrivata dopo che l’imprenditore ha cacciato il figlio Giuseppe, fa deflagrare anche il litigio con Violetta, che fino ad allora era rimasta al fianco del padre. La famiglia si spacca, e Bernardo decide di nominare “mie eredi universali in parti uguali tra loro, mia figlia Marina e mia moglie Giuliana”. La moglie e la figlia, ottengono così il controllo di Supermarkets Italiani, la holding che controlla Esselunga, e il 55% della Villata, l’immobiliare che raccoglie uffici, magazzini e supermercati. I figli di primo letto Giuseppe e Violetta si spartiscono quindi il restante 30% di Esselunga e il 45% dell’immobiliare. “Non sono stato molto premiato per quanto ho fatto, o ho cercato di fare, a favore di Giuseppe e Violetta – scrive Bernardo nelle sue ultime volontà – svantaggiati dalla legge italiana rispetto a Marina e alla madre”.
Questa scelta sancisce la gestione e impedisce ai figli di primo letto di avere la minoranza di blocco sui supermercati. Ma c’è di più perché avendo rispettato la legge di successione, che prevede che ogni figlio abbia per legittima almeno il 16,6% del patrimonio, non dà appigli a Violetta e Giuseppe di fare nuove cause. Bernardo ripercorre le donazioni fatte in passato, o di recente ai suoi familiari, e aggiunge quelle per legato. Il primo che viene ricordato è il primogenito Giuseppe che ha ricevuto l’appartamento sul Golf di Monticello a Cassina Rizzardi, l’appartamento di Verbier in Svizzera, la villa di famiglia ad Albiate Milano e i suoi arredi, la biblioteca di 4 mila volumi del bisnonno Giuseppe Caprotti, l’archivio di famiglia e alcuni quadri di pregio tra cui una natura morta di De Chirico. Violetta invece ha avuto, la sua casa di Via Bigli a Milano, quella di New York sulla Quinta strada, “la proprietà che mi è più cara” cioè il castello di Bursinel sul lago di Lemano e alcuni quadri tra cui un olio di Zandomeneghi.
Alla moglie Giuliana Albera va invece un altro appartamento sul Golf di Monticello a Cassina Rizzardi, l’intera proprietà di Fubine nel Monferrato con “la casa di caccia e altri quattro cascinali”, la barca “Alfamarine”, la metà della casa di Skiatos in Grecia – la cui altra metà va alla figlia Marina, che riceve anche 8 milioni per comprarsi la casa di Egerton Terrace a Londra – l’intero possedimento di alcuni chilometri “sul mare” a Zonza nel sud della Corsica, e alcuni quadri tra cui una “Madonna modesta” di Zandomeneghi. Ma poi Bernardo precisa: “Non mi attarderei ulteriormente su cose passate, data l’entità di quanto sto disponendo”, fatto salvo che quanto non espressamente precisato, compresi tutti i suoi effetti personali, andranno alla moglie e alla figlia Marina.
Bernardo lascia poi due quadri alla segretaria Germana Chiodi “signora a cui voglio esprimere la mia immensa gratitudine per lo straordinario aiuto prestato” e la metà dei due conti titoli (presso Credit Suisse e Deutsche Bank) e del conto corrente (sempre presso Deutsche). L’altra metà andrà divisa tra i 5 nipoti, ovvero i tre figli di Giuseppe, Tommaso, Margherita e Giovanni, e i due figli del fratello minore Claudio, Andrea e Fabrizio, che ugualmente ricevono dei quadri. Al marito della figlia Marina, Francesco Moncada di Paternò l’imprenditore lascia la sua Bentley “perché la faccia diventare veramente vintage”. Al ragioniere di una vita, Cesare Redaelli vanno 2 milioni di euro.
Dopo aver donato alla Pinacoteca Ambrosiana “un dipinto di scuola leonardesca di grande interesse e ingente valore e avendo da ciò ottenuto un’esperienza molto negativa” Caprotti cancella le donazioni previste alla galleria di Arte Moderna di Milano. E invece lascia al Louvre, l’olio di Manet “La vergine col coniglio bianco” con l’onere che venga esposto accanto al Tiziano originale. Tutto preciso, tutto calcolato. Nel tentativo di regalare un difficile lieto fine a una vicenda umana complessa. “Ho lavorato duramente – ricorda -. Ho sofferto l’improvvisa tragica scomparsa di mio padre… Poi, più tardi, il dissidio coi miei due fratelli la cui liquidazione (richiesta) mi è costata quasi vent’anni di ristrettezze; nell’immane fatica, più tardi la crisi drammatica e la fine della Caprotti”. La manifattura tessile di famiglia chiusa nel 2009 dopo 179 anni di attività. “Ove mai (così non sarà) qualcuno dovesse pretendere integrazioni a quanto ricevuto – scrive un Caprotti sfibrato dai lunghi braccio di ferro legali con i suoi parenti più stretti – tali pretese dovranno, naturalmente e come per legge, riferirsi in via preventiva a tutto quanto disposto con il presente testamento”. L’imprenditore – in conclusione – pensa persino al suo funerale: “che sia al mattino, il più presto possibile, onde non disturbare il prossimo” nella chiesa di San Giuseppe che è a “300 metri da casa” con la preghiera che non siano fatti annunci o necrologi, “sarebbero paginate di fornitori cortigiani”. La saga della Esselunga, ora, continua senza di lui. L’importante è che non finisca alla Coop.
di SARA BENNEWITZ, La Repubblica