È uscita Barabino & partners di Luca Barabino, e, nei giorni scorsi, se ne sono andate pure Echo comunicazione di Claudio Rossetti ed Extra di Antonio Ferro. L’associazione Assorel, quella che un tempo dettava l’agenda delle pubbliche relazioni in Italia, perde i pezzi e diventa sempre più leggera e meno rappresentativa del comparto.
Ora sono 17 le agenzie iscritte (i termini per comunicare il recesso scadevano lo scorso 30 settembre) contro le 26 di Pr Hub di AssoCom.
In Assorel, guidata dal presidente Alessandro Pavesi, rimangono strutture di un certo peso, come Weber Shandwick, Mailander, Parini associati, Fleishman Hillard, Ad Mirabilia, Inc, mentre a Pr Hub hanno aderito agenzie come Havas, Mn Holding, Noesis, Icco, Epr comunicazione, Bpress, Ab comunicazione, Aida, Mirandola, Sound Pr, e Ketchum, guidata dal ceo Andrea Cornelli che fino al 2015 era presidente proprio di Assorel, e che aveva lasciato anticipatamente l’incarico in polemica con l’associazione. Cornelli è poi diventato presidente di Pr Hub.
La perdita di Barabino, ovvero della più importante agenzia di comunicazione d’impresa in Italia, è comunque un colpo difficile da digerire per Assorel. L’addio c’è stato per solidarietà con Cornelli, che Barabino aveva contribuito a fare eleggere, e al momento l’agenzia è piuttosto agnostica e non si schiera. Da una parte, infatti, ci sono le logiche un po’ antiche di Assorel, che vive solo sui contributi degli associati (da Barabino, per esempio, incassava 12 mila euro all’anno) e che dovrebbe tutelare la categoria nei rapporti con le istituzioni e nelle gare.
Dall’altra la neonata Pr Hub, in seno ad AssoCom, che ha una visione un po’ più di business e tende ad attrarre non solo le agenzie di comunicazione d’impresa, ma pure quelle di eventi, video, digital media, in modo da rappresentare tutta una filiera di comunicazione.
E in tempi di vacche magre per il mercato, è naturale che una logica di business prevalga su quella di immagine. In passato Assorel poteva rappresentare un marchio di garanzia per partecipare con successo alle gare, dava lustro alla agenzia di comunicazione e comunque, quando il mercato tirava e giravano soldi, la quota associativa era anche un sacrificio sostenibile in un ottica di confronto, di networking e di incontro in una sorta di club. Ora, invece, molte agenzie si sono ridotte all’osso, e in una situazione di ristrettezza si pensa di più al proprio ufficio che al comparto nel suo insieme.
Claudio Plazzotta, ItaliaOggi