Gli industriali rivedono al ribasso le stime sul Pil e chiedono più risorse nella Stabilità
Gian Maria De Francesco, il Giornale
Roma Dopo aver confermato il proprio supporto al fronte referendario per il «Sì», Confindustria avverte il governo che il sostegno non è gratis: la politica economica va cambiata in senso più favorevole alle imprese. Il messaggio è stato sorprendente per il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, giovedì scorso ospite del Centro studi di viale dell’Astronomia (Csc) per la presentazione degli Scenari economici.
Csc, infatti, ha rivisto al ribasso di un decimo di punto percentuale le previsioni di crescita del Pil sia per il 2016 (da +0,8 a +0,7%) sia per il 2017 (da +0,6 a +0,5%). In pratica, gli analisti confindustriali prevedono stagnazione negli ultimi due trimestri dell’anno, un andamento che dovrebbe portare il deficit/Pil al 2,5% quest’anno e al 2,3% il prossimo, un valore che «richiederebbe una manovra complessiva sui saldi di 16,6 miliardi» se la Ue non concederà ulteriore flessibilità (la cifra evidenziata equivale a un punto di Pil, ndr). Insomma, servirebbe già da adesso prepararsi a una correzione sui conti, tanto più che le previsioni del Csc tengono conto di alcune misure che il governo ha annunciato tra le quali l’annullamento delle clausole di salvaguardia per 15,1 miliardi.
L’analisi evidenzia, inoltre, come tra 2000 e 2015 il Pil sia aumentato in Spagna del 23,5%, in Francia del 18,5 e in Germania del 18,2, mentre in Italia è «calato dello 0,5%». Il Paese è malato di bassa crescita e non solo vedrà aumentare il divario col resto d’Europa «ancor più rapidamente», ma rinvierà al 2028 l’appuntamento con i livelli lasciati nel 2007. Ecco perché l’esecutivo dovrebbe concentrare «le poche risorse disponibili sulle voci che hanno maggiore efficacia: investimenti, produttività, patrimonializzazione delle imprese». Inoltre «per combattere la povertà» la via «più efficace» sarebbe «concentrare le risorse sul reddito di inclusione» e non sulla quattordicesima ai pensionati. Un tema sollevato anche dal presidente dell’Inps, Tito Boeri, che ha ricordato, tra l’altro che l’anticipo pensionistico (Ape) comporta un incremento di spesa «che andrà avanti per molto tempo: la fiscalizzazione delle rate verrà fatta per venti anni, quindi la somma di cui si parla oggi (500 milioni) andrebbe moltiplicata per venti». Dunque, il costo sarebbe nell’ordine di 10 miliardi.
La prossima legge di Bilancio non ha ancora visto la luce e il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, l’ha già smontata pezzo per pezzo, asserendo in pratica che i 3 miliardi (escluso il taglio Ires) che si dovrebbero destinare al capitolo aziende sono insufficienti. Contraddire viale dell’Astronomia potrebbe costar caro. «Il nostro Sì al referendum è per la stabilità del governo», ha chiosato.
Il ministro Padoan, colto in contropiede, ha recepito il segnale. «Le stime che saranno contenute nella Nota di aggiornamento al Def, che sarà approvata la prossima settimana, potrebbero essere migliori di quelli del Csc (si parla di un +0,9% nel 2016 e +1,1% nel 2017)», ha esordito interpretando comunque le previsioni del Csc come una sollecitazione per proporre misure giuste e dimostrare che queste stime sono sbagliate». C’è da sperare che abbia ragione.