Il pil americano del secondo trimestre conferma la crescita, ma disattende le previsioni del consenso a +2,6%. Pesa la cautela delle imprese, i consumi segnano un +4,2%. Più lontana l’ipotesi di un rialzo dei tassi da parte della Fed, il dollaro rimbalza
L’economia a stelle e strisce si conferma in crescita nel secondo trimestre dell’anno, ma non rispecchia l’ottimismo dimostrato dagli economisti. A testimoniarlo i dati relativi alla crescita del prodotto interno lordo che, in termini destagionalizzati, ha riportato nel periodo un’espansione dell’1,2% congiunturale, deludendo nettamente le attese del consenso degli economisti del Wall Street Journal che si aspettava un incremento del 2,6%. Rivisto al ribasso, inoltre, dal +1,1% al +0,8%, il pil dei primi tre mesi dell’anno. Da segnalare, inoltre, come questi valori non siano in alcun modo indicativi degli effetti del voto in Gran Bretagna, in quanto questo ha avuto luogo a ridosso della chiusura del trimestre, avvenuta il 30 giugno.
Il dato si è rivelato, quindi, in decisa controtendenza rispetto a quanto prospettavano gli esperti, con gli strategist di Unicredit che in mattinata si erano detti sostanzialmente convinti che l’economia statunitense avesse addirittura accelerato portandosi a un +2,7% rispetto al trimestre precedente, su valori massimi da un anno, spinta dall’aumento della spesa dei consumatori, rialzo stimato attorno al 4%.
Di fatto, le previsioni sulla crescita dei consumi delle famiglie si sono realizzate, con il dato che ha segnato un +4,2% congiunturale, il rialzo più consistente dal 2014, con un +6,8% delle spese per i beni e un +3% di quelle per i servizi. Tuttavia, tale aumento è stato largamente assorbito dalla manifestata cautela delle imprese e dalla debolezza degli investimenti residenziali e non.
Nel dettaglio, gli investimenti non residenziali, ritenuti un indicatore valido della spesa delle aziende, sono scesi del 2,2%, in contrazione per il terzo trimestre consecutivo, con l’andamento che ha coinvolto sia gli esborsi per gli edifici sia quelli per le attrezzature. In decisa flessione anche le scorte, che hanno sottratto oltre 1 punto percentuale alla crescita generale del Paese.
“Una spesa delle imprese così debole potrebbe suggerire una scarsa fiducia delle stesse nell’economia globale”, hanno suggerito Eric Morath e Jeffrey Sparshott, economisti del Wall Street Journal. In particolare, l’andamento del dollaro, tornato valuta forte rendendo i beni statunitensi più costosi oltreoceano, ha messo a dura prova la performance delle imprese manifatturiere Usa, mentre l’industria energetica ha dovuto fare i conti con i forti ribassi dei prezzi di petrolio e gas naturale, che hanno portato a un ridimensionamento delle mobilizzazioni su miniere e pozzi. A incidere ulteriormente in negativo il crollo del 6,1% degli investimenti residenziali, categoria che nell’ultimo biennio ha contribuito in maniera sostanziale alla crescita.
A dare un apporto positivo il commercio estero, con le esportazioni che hanno segnato un +1,4% a fronte di un calo dell’import. “Gli Stati Uniti hanno confermato una crescita inferiore al 2% per il terzo trimestre consecutivo, elemento che potrebbe avere un forte impatto sulle decisioni della Federal Reserve in merito a un rialzo dei tassi di riferimento nel proseguo dell’anno”, hanno osservato gli esperti, alla cui opinione si è affiancato Paul Ashworth, capo economista per gli Usa di Capital Economics: un’azione da parte della Fed a settembre è “molto meno probabile”.
Scarso l’effetto della delusione sulle piazze europee, che continuano a rimanere concentrate in vista dell’esito degli stress test che sarà pubblicato in serata. Milano continua a guidare i rialzi, anche se sotto i massimi intraday, con un +1,77%, seguita da Madrid (+1,38%), Francoforte (+0,34%) e Parigi (+0,05%). In negativo, ma prossima alla parità, Londra (-0,15%). Sul fronte valutario, rimbalza il cambio euro/dollaro che, dopo aver aggiornato il massimo intraday a 1,1167, si attesta ora a 1,1158. In lieve rialzo a 134,493 punti base lo spread tra i titoli di Stato a medio lungo termine italiani e quelli tedeschi.
Elena Filippi, Milano Finanza