Lo dicono Inps e Irs. Tante distorsioni tra pensioni minime e detrazioni Intanto parte il reddito di inclusione. Il 44% dei nuclei più disagiati non riceve alcun tipo di sostegno economico. Boeri: “Bene, anche se non basta”
Sono diciotto i miliardi pubblici destinati sulla carta ogni anno agli anziani poveri. Ma di questi, quasi cinque finiscono in mano a famiglie che povere certamente non sono, perché guadagnano più di 23 mila euro netti l’anno. Nelle stesse tasche va anche il 16% delle spese per assegni familiari e detrazioni per i figli a carico. Tiriamo le somme: un quarto di tutte le spese statali per prestazioni assistenziali va a chi ha redditi più che dignitosi. E una parte di queste a famiglie decisamente benestanti. A darci il senso di un welfare malato di strabismo sono due recenti rapporti: uno dell’Inps, l’altro dell’Irs, l’Istituto per la ricerca sociale. E proprio ieri il presidente dell’Inps Tito Boeri, in audizione al Senato, ha ricordato gli effetti di questo parziale rovesciamento dello stato sociale.
Ma se c’è chi ha ricevuto aiuti avendone meno bisogno di altri, non c’è da stupirsi se, come rende noto lo stesso Irs, il 44 per cento delle famiglie italiane in povertà assoluta finisce per non ricevere alcun sostegno economico dallo Stato. E’ sullo sfondo di questo fallimento, di questa clamorosa eterogenesi dei fini, che sono intervenuti a peggiorare le cose gli effetti catastrofici della lunga recessione italiana. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: un aumento della povertà assoluta, che ormai coinvolge 4 milioni 600 mila persone, il 7,6% della popolazione.
Uno scenario così fosco ha convinto il governo a rilanciare la lotta alla povertà, prevedendo per la prima volta un “reddito di inclusione”, primo passo verso quel reddito minimo già attivo in quasi tutti i paesi europei, con l’eccezione della Grecia e appunto dell’Italia. Sperimentato finora in 12 città, il Sostegno per l’inclusione attiva (Sia) – così si chiama il nuovo strumento – dal 2 settembre prossimo sarà esteso a tutta l’Italia. A partire da quel giorno i potenziali beneficiari potranno fare domanda e dopo due mesi avere il primo aiuto economico. Ottanta euro a testa, 320 per una coppia con due figli, tetto di 400 euro.
Ma chi lo prenderà? Quanta parte dei 4,6 milioni poveri assoluti? La lista dei requisiti non è breve e neppure semplice. Devi avere un Isee (indicatore della situazione economica) inferiore o uguale a 3 mila euro, non avere altri trattamenti economici pari o superiori a 600 euro, non possedere (né tu né alcun altro familiare) auto immatricolate nell’ultimo anno di cilindrata oltre 1300, oppure moto oltre i 250 immatricolate negli ultimi tre anni. Ma soprattutto nella tua famiglia deve esserci un minore o un figlio disabile o una donna in stato di gravidanza accertata. E non basta ancora: per avere il beneficio devi totalizzare almeno 45 punti legati a situazioni di particolare disagio: 25 se sei genitore single, 20 se hai 3 figli minorenni, 10 se un familiare non è autosufficiente, e così via.
Questa serie di condizioni limita i beneficiari a 800 mila, un milione di persone, di cui quasi mezzo milione di minori. Con una spesa di 750 milioni. Il ministro Poletti spera di raddoppiare il prossimo anno e di coprire in prospettiva un milione di minori. Ma per ora le finanze pubbliche non consentono più di questo. Altri 160 milioni l’anno verranno dai fondi europei e con questi i Comuni dovranno attivare le misure di inclusione sociale e lavorativa degli stessi poveri.
L’intenzione del governo, insomma, è di creare una misura anti-povertà unica a livello nazionale e di carattere universale. Ma questo imporrebbe di riordinare quell’intricato coacervo di interventi occasionali, scollegati fra loro, al quale abbiamo dato il nome di assistenza sociale. Di rimetter mano proprio a quel sistema frammentato e illogico che ha permesso di destinare gran parte della spesa assistenziale anche alle famiglie agiate.
Facciamo qualche esempio. Le detrazioni per i figli a carico ignorano gli incapienti, i quali guadagnano così poco che l’imposta dovuta è più bassa della detrazione che spetterebbe loro. E avvantaggiano invece per un 20% (rende noto l’Inps) il 30% più ricco delle famiglie, grazie al fatto – spiega Boeri – che si ha diritto allo sconto anche se il reddito familiare è elevato. Se poi ad essere incapiente è un lavoratore autonomo, non prenderà neppure l’assegno per il nucleo familiare. Distorsioni meno gravi pesano sugli anziani poveri. Per loro ci sono ben otto prestazioni Inps per nulla coordinate e con diversi sistemi di calcolo del reddito richiesto. Il risultato che un terzo circa delle integrazioni al minimo (le stesse alle quali Matteo Renzi vorrebbe estendere gli 80 euro) va a famiglie sicuramente non povere (oltre i 23 mila euro di reddito disponibile equivalente). Molte di queste riescono infatti ad avere ugualmente l’aiuto finanziario anche se in famiglia ci sono figli o altri parenti benestanti. E che dire del nuovo sostegno ai disoccupati, l’Asdi, che esclude chi è senza lavoro da molto tempo? Lo stesso “reddito di inclusione” che sta lanciando il governo lascia a bocca asciutta molte famiglie, a cominciare da tutti i poveri maggiorenni che non vivono con minori.
Insomma, è difficile creare un sistema omogeneo di regole anti- povertà, come vorrebbe il governo, senza rimetter mano alla miriade di misure del passato. Eventualità che tuttavia è stata in gran parte già esclusa dal piano governativo. Tanto da far dire a Boeri che il Sostegno di inclusione attiva “è un primo passo importante verso una misura universale, ma non ancora sufficiente “.
Repubblica