Ieri l’assemblea del gruppo Cairo Communication ha dato il via libera all’aumento di capitale. La ricetta: taglio dei costi inutili e sinergie Corriere-La7
I 108,6 milioni di posizione finanziaria netta di Cairo Communication, più i 70 milioni massimi di aumento di capitale, cui sommare i 140 milioni di linea di credito messa a disposizione da Intesa San Paolo dovrebbero dotare il gruppo di Urbano Cairo dei mezzi necessari per digerire il boccone Rcs. Un boccone che, per ora ha comportato il versamento di circa 64 milioni di euro cash (i 25 cent per azione) agli azionisti Rcs che hanno conferito le loro quote alla Opas di Cairo (ora detiene il 48,82% di Rcs), cui aggiungere altri 16 milioni per acquisire il 13% che invece alcuni azionisti avevano conferito alla cordata Bonomi e che ora hanno facoltà di trasferire a Cairo. Un totale di 80,6 mln che lasciano ancora un po’ di cassa in società, senza toccare i fondi Intesa.
Con tutti questi passaggi tecnici si arriverà al 4 agosto. Dopodiché ogni giorno sarà buono per lo sbarco operativo di Cairo in Rcs, «dove chiederò tutte le deleghe, per controllare ogni euro che esce e perché esce».
La ricetta per risanare i conti del gruppo editoriale, a parole, sembra semplice: «Quando ho comprato La7», dice Cairo durante l’assemblea straordinaria di Cairo Communication convocata ieri per deliberare l’aumento di capitale, «ho trovato i costi a 227 milioni di euro, e in un anno li ho tagliati per 114 milioni. Io credo che in Rcs accadrà la stessa cosa: le risorse per gli investimenti si libereranno tagliando i costi inutili. In Rcs ci sono 1,015 miliardi di euro di costi, e va fatto un taglio importante. Non conosco ancora i numeri esatti, ho solo potuto vedere i bilanci, da cui, comunque, emergono già dati significativi: la cifra monstre di 55 milioni di euro annui spesi per consulenze e prestazioni professionali. Oppure i 65 milioni di euro spesi per la carta. È su voci come queste che si può incidere, e parecchio. Vi dico solo che quando arrivai a La7 nel 2013 la tv spendeva 2,7 milioni all’anno per le troupe televisive. Ora spendiamo 700 mila euro. Si spendevano 34 mila euro in cancelleria, ora 4 mila. Poi, ovviamente, bisogna sviluppare i ricavi. Se, per esempio, il Giro d’Italia riesce in breve tempo, come credo, a raddoppiare, passando da 25 milioni di euro a 50 mln, fai subito 20 milioni di euro di margine in più».
Quanto alle strategie più strettamente editoriali, Cairo ribadisce che «Il Corriere della Sera non diventerà come The Sun. Un quotidiano così prestigioso non può trasformarsi in un tabloid. Io credo che meno i lettori si accorgono che io sono arrivato, meglio è. Il direttore Luciano Fontana sta facendo un buon lavoro, conosce bene la macchina, è lì da quasi vent’anni e ha scalato tutte le gerarchie interne al giornale. Certo, tutto si può migliorare. Quando vedo che si dedicano 20 pagine a una notizia, pur se importante, ecco, forse credo che si esageri un po’». La7 non si integrerà in senso stretto con il Corriere della Sera, ma ci saranno sinergie a livello web, video, campagne di comunicazione del Corriere su La7, anche per promuovere un possibile cut price a un euro.
Quanto alla Gazzetta, «anche in questo caso si può fare meglio. Come al Corriere, bisogna estrarre fatturato dalla marea di utenti web». E ancora parole dure per i periodici: «Il settimanale Oggi, quando lo avevo in concessione nel 2002, vendeva 700 mila copie. Ora ne vende 110 mila. Ok che il mercato è calato, ma Oggi ha perso l’85% delle copie, un tracollo. E la formula che lo ha fatto virare verso un newsmagazine alla Paris Match non funziona, i newsmagazine sono in crisi. Sette ha un grande potenziale inespresso. Io Donna pure: diffonde moltissime copie, insieme con il Corriere della Sera, ma fattura appena 24 milioni di euro di pubblicità, contro un Vanity Fair, per esempio, che diffonde molte copie in meno ma vale 40 milioni di euro di fatturato pubblicitario».
Unico scoglio: Cairo, uomo solo al comando molto operativo, è abituato ad aziende con qualche centinaio di dipendenti e una prima linea fatta di tre-quattro manager fidati. Con Rcs si troverà di fronte un gruppo da 4 mila dipendenti, con centinaia di dirigenti e quasi 1.500 giornalisti molto sindacalizzati. Una bella partita.
Italia Oggi