“Le nostre banche sono solidissime, fate presto!” Suona più o meno così la posizione del Governo italiano sulle banche del Belpaese. Un comportamento da sociopatici che, però, ha ottenuto da Bruxelles il via libera per la garanzia pubblica sul comparto bancario.
Da mesi la classe politica e i giornalai italiani vanno urlando che le banche italiane sono tra le più solide dell’Unione europea, ma intanto sotto voce vanno in giro chiedendo garanzie, flessibilità o deroghe alle regole comunitarie per poter intervenire per metterle al riparo. La scelta dei cittadini inglesi di uscire dall’Unione europea ha aumentano ancora più le turbolenze sui mercati e in particolare la pressione sulle banche e dall’altra fornito un’assist perfetto al Governo italiano per invocare l’eccezionalità della situazione e chiedere alla Commissione europea gli spazi di manovra necessari per intervenire.
A quanto pare già domenica, a poco più di due giorni dal referendum sulla Brexit, Bruxelles avrebbe accordato al Governo italiano la possibilità di utilizzare la garanzia pubblica per mettere a riparto le banche da eventuali tempeste scatenate dall’uscita del Regno Unito dall’UE.
I paletti fissati dalla Commissione sono due: la garanzia pubblica potrà essere utilizzata fino al 31 dicembre 2016 e potranno usufruirne soltanto le banche solvibili. Si tratta quindi di un corridoio di sicurezza attivato per i prossimi sei mesi, uno strumento definito “precauzionale” che presumibilmente sarà utilizzato a piene mani dalle banche italiane in cerca di una boccata d’ossigeno. L’attivazione delle garanzie pubbliche, fino a 150 miliardi, andrà a ricadere sul debito pubblico e non sul deficit italiano. Il secondo paletto fa sorgere una domanda spontanea: quindi in Italia ci sono anche banche non più solvibili, per le quali non c’è più niente da fare? Bene a sapersi.
Il voto sulla Brexit è chiaramente un pretesto per intervenire a mani libere su una casa che brucia ormai da tempo, ben prima che gli inglesi votassero per il divorzio con l’UE. C’è, infatti, chi fa notare che l’esposizione diretta delle aziende di credito italiane rispetto al Regno Unito è davvero modesta, soprattutto se confrontata con quella di altri Paesi europei: l’Italia è esposta per 41 miliardi, contro i 410 della Spagna i 369 della Germania e i 228 della Francia.
Questo strumento “precauzionale” della garanzia pubblica è già stato adottato da Bruxelles per Cipro, la Grecia, la Polonia e il Portogallo. Il Governo italiano ha così la possibilità di mettere a punto un paracadute d’emergenza Made in Italy, fatto su misura, ma ancora non è chiaro quale sarà il profilo del suo intervento.
Lo Stato potrebbe attivare la garanzia pubblica, per un ammontare fino a 150 miliardi, per l’emissione di bond da parte delle banche italiane in carenza di liquidità. Così facendo le banche potranno accedere direttamente al rifinanziamento della BCE senza dover ricorrere al collaterale. Ma probabilmente lo strumento della garanzia pubblica sarà utilizzato soprattutto sul fronte dei rafforzamenti di capitale oppure dello smaltimento della montagna dei crediti in sofferenza di cui le banche italiane non riescono a liberarsi.
Fonti governative riferiscono di un progetto del Governo su una sorta di Atlante 2, già circolata nei giorni scorsi. Il Governo italiano avrebbe proposto a Bruxelles la creazione di una copia potenziata del fondo privato gestito da Quaestio, un veicolo garantito dallo Stato questa volta con le stesse funzioni dell’originale, ma con una potenza di fuoco maggiore. Il fondo Atlante è stato creato per accompagnare le banche in difficoltà nelle operazioni di aumento di capitale e per lo smaltimento delle sofferenze, ma ha già usato buona parte della sua dotazione per portare a buon fine le operazioni sulla banca Popolare di Vicenza e su Veneto banca. La creazione di un fondo Atlante 2, con una dotazione pubblica fino a 150 miliardi, potrebbe ridurre notevolmente il rischio-banca e quindi riuscire ad attrarre investitori istituzionali e internazionali. A questo fondo potrebbero rivolgersi tutte le banche in difficoltà (ma non in dissesto) che vogliano rafforzare il proprio capitale o liberarsi delle sofferenze, il tutto entro il 31 dicembre 2016. Sarà un anno davvero caldo per l’Italia e l’Unione europea.
Marta Panicucci, International Business Times