Presentato lo studio della Fondazione Debenedetti. Ma in Italia solo il 13% dei piccoli trova posto nelle strutture per l’infanzia
L’asilo nido come leva fondamentale per migliorare le capacità cognitive dei bambini, soprattutto per chi nasce in famiglie disagiate. Il nido come aiuto alle donne per rimanere nel mercato del lavoro. Ma, purtroppo, in Italia in media solo il 13 per cento dei bambini fino a due anni trova accoglienza in una struttura per l’infanzia e in alcune regioni, in particolare al Sud, questa percentuale diminuisce ancora. Una grande occasione mancata di sviluppo ed eguaglianza sociale. È questo il cuore degli studi presentati a Siracusa nella diciottesima conferenza europea della Fondazione Rodolfo Debenedetti, quest’anno dedicata alle politiche di assistenza all’infanzia, alla quale hanno partecipato diversi docenti e professionisti italiani e stranieri.
“Devono esserci delle politiche che sviluppino degli asili nido di alta qualità”, dice Daniela Del Boca, docente dell’Università di Torino e coordinatrice del gruppo di lavoro che ha presentato lo studio sulle politiche dell’infanzia negli Stati Uniti, nel Regno Unito e in Italia.
Una ricerca dalla quale emerge con chiarezza come “le diverse modalità di accudimento dei bambini in età pre-scolare abbiano un effetto sulle loro capacità cognitive”. Lo studio dimostra che “esiste un legame positivo tra frequenza al nido e sviluppo cognitivo del bambino, soprattutto per le famiglie dal background svantaggiato”.
Per valutare lo sviluppo cognitivo sono stati utilizzati i risultati dei test Invalsi dei bambini iscritti al secondo e quarto anno della scuola primaria e al primo anno della scuola secondaria inferiore. Ed è emerso che “una maggiore disponibilità di posti nido a livello provinciale è associata a migliori risultati nei test che valutano le capacità linguistiche”. Nel Regno Unito, invece, si è notato che “i bambini curati dai genitori e dai nonni sono più abili nell’imparare il nome degli oggetti, ma hanno peggiori risultati in test che valutano il grado di sviluppo di concetti base e la capacità di risolvere problemi”. In ogni caso “le disuguaglianze nello sviluppo cognitivo dei bambini tendono a ridursi con l’ampliarsi del numero di bambini frequentanti il nido”.
Ma anche la qualità degli asili nido ha un ruolo importante. Il secondo studio presentato nell’ambito della conferenza, coordinato da Andrea Ichino, docente della European University Institute, ha valutato “gli effetti dell’asilo nido sulle capacità cognitive e non dei bambini”. La ricerca dimostra che la frequenza del nido “ha effetti negativi sul quoziente intellettivo dei bambini nel medio termine e il risultato è più forte per le bambine, soprattutto per le famiglie benestanti”. “Una possibile interpretazione è che i bambini che frequentano il nido beneficiano di minori interazioni uno a uno con adulti – spiega la ricerca – interazioni che sono particolarmente rilevanti per lo sviluppo cognitivo nei primi anni di vita”. Quindi asili nido con un rapporto minore tra bambini e adulti consentono un migliore sviluppo cognitivo. Dallo studio emerge anche che “la frequenza al nido genera vantaggi in termini di salute, riducendo la probabilità di essere sovrappeso tra gli 8 e i 14 anni”.
A fronte di queste ricerche che sottolineano l’importanza per un Paese di avere nidi di qualità, la situazione in Italia è pessima. “La Fondazione Debenedetti ha sempre cercato, nei suoi 18 anni di attività, di concentrare l’attenzione del dibattito pubblico e accademico su temi rilevanti dal punto di vista sociale ed economico – ha detto il presidente della Fondazione, Carlo De Benedetti, introducendo i lavori – mai come quest’anno il tema scelto è adatto a guardare il futuro. Si dice che l’Italia non sia un paese per giovani. I dati sulla disponibilità di posti nido sembrano confermare in pieno questa percezione e il ritardo italiano in questo campo nuoce alle famiglie e nuoce all’offerta di lavoro femminile”. Non a caso le mamme di almeno un bambino tra 0 e 14 anni che lavorano sono oltre l’80 per cento in Danimarca e poco più del 50 per cento in Italia.
Repubblica