Non ci siamo mai dati delle arie e non ce le daremo. Ma un po’ di vento lo solleveremo. Vittorio Feltri. Primo articolo da direttore di Libero.
Quella di venirci a trovare è stata una magnifi ca idea. Però anche la nostra di non aprirvi non è stata male. Romano Bertolaso. Gino&Michele, Anche le formiche nel loro piccolo si incazzano. Baldini &Castoldi, 1995.
Cos’è che vi piace più della sigaretta: il catrame, la nicotina o il monossido di carbonio? Enrico Vaime, Gli amori finiscono, non preoccupatevi. Aliberti editore. 2016.
Precipitato un aereo egiziano. Per la polizia del Cairo o è stata una rapina o un delitto a sfondo sessuale. Il rompi-spread. MF.
Pannella – Però parlava troppo. Jena, la Stampa.
Nei telegiornali postelettorali, vegliardi italiani decrepiti, senili, spesso tinti e ritinti sconciatamente, sovente appisolati nelle pieghe facciali flaccide… E nel nuovo che avanza da quarant’anni, i più nuovi sarebbero tuttora i sessantottenni fit o unfit per un Paese che viene sempre minacciato o attratto da una ricaduta di almeno quarant’anni all’indietro. Alberto Arbasino, La vita bassa. Adelphi.
Quando è esploso il «dieselgate», in Germania è andato in scena un vero psicodramma, a cominciare dai talk show. E se uno scandalo targato Deutsche Bank non è di per sé una novità (trent’anni fa lo scrittore tedesco Hans Magnus Enzensberger pubblicò gli atti dell’amministrazione militare americana da cui emergevano le responsabilità della banca durante il Terzo Reich) oggi l’americana Foreign Policy, autorevole rivista di politica estera, sentenzia che «i problemi della banca obbligano i tedeschi a rifl ettere sull’identità nazionale». Roberto Brunelli. Ilvenerdì.
«Sarà stata pure ideologia, non lo nego, ma all’epoca il Partito comunista era una famiglia, ti faceva commettere alcuni errori ma ti riempiva l’esistenza. C’era la passione per un’idea, l’ardore di chi voleva rivoluzionare il mondo, Ho-chi-min-min-min, Che-Guevarache-che-che». Cioni, torniamo all’oggi: dopo un’assoluzione in primo grado e una condanna in appello, la Cassazione ha messo la parola fine perché il fatto non sussiste. «Eppure per qualcuno resto un condannato. L’altra sera su La7 quel Di Battista, come si chiama, quello dei 5 Stelle, mostra una piovra tentacolare che si estende sull’Italia intera. In corrispondenza della Toscana compare un nome, il mio, e accanto si legge condannato. Mi prende un colpo. Il conduttore non lo corregge. Li ho querelati. Non ci sto più a prendere schiaffi ». Graziano Cioni, Pd, candidato sindaco a Firenze contro Renzi alle primarie, inquisito (e bloccato politicamente) per 8 anni e poi assolto con formula piena (Annalisia Chirico). Il Foglio.
L’Italia è un paese pieno di regole ma senza sanzioni. Solo che i veri delinquenti la fanno franca e in carcere ci sta chi aspetta il giudizio. E sa perché? Perché manca la certezza della pena. Giulia Bongiorno, avvocato. (Piero Senaldi). Libero.
A Cesare Lanza, maestro di arte amatoria ed etica libertina (e di tante altre cose). Caro Cesare, sono secoli che non ti vedo e spero ne passino altrettanti perché niente più del la lontananza cementa e affina un’amicizia.
Non perdo una puntata del tuo Alle cinque della sera. Sei più versatile di un acrobata di corda lenta e nessuno come te conosce i suoi polli (e le sue pollastre), lettori e lettrici. Non c’è convegno galante che valga la ghiotta delibazione dei tuoi soliloqui che oltre al dono dell’impertinenza, hanno anche quello della sagacia. Roberto Gervaso, Alle cinque della sera di Cesare Lanza.
Durante la marcia su Roma le vie attorno al Corso e alla piazza di Spagna, allora dense di postriboli, mi parvero le più affollate. Gli strilloni correvano con le loro edizioni straordinarie, la pioggia era cessata, nei portoni e lungo i marciapiedi, si formavano gruppi di squadristi, stravaccati, stanchi, sempre impegnati con i loro panini imbottiti. Ennio Flaiano, Un bel giorno di libertà. Rizzoli, 1979.
Quando, dopo avere camminato a lungo, si arrivava in cima a un crinale e ci si fermava a riposare, dopo il tonfo degli zaini sull’erba, e i sospiri di sollievo, e lo stropiccio della stagnola della cioccolata e il nostro religioso masticare, c’era un momento in cui, noi tacendo, si avvertiva il silenzio. Non era il vento che lambiva le cime, né le risate sgraziate delle cornacchie, sopra di noi, né i campanacci delle mucche dai pascoli. No, era proprio ciò che stava sotto a questi rarefatti rumori; l’aria tersa, il cielo a guardarci, e il nulla che s’allargava e galleggiava intorno a noi, nell’orizzonte infi nito. Il silenzio regale della montagna mi intimoriva, e quasi non lo potevo sopportare; ma tutti noi, senza accorgercene, subito cercavamo di arginare con delle parole quel vuoto, che ci insinuava uno strano disagio. Insostenibile, il silenzio assoluto; e ci confortava il rombo di un aereo lontano, o il franare dei sassi dai ghiaioni. Poi, quando l’ultima eco del rovinio delle pietre si spegneva, di nuovo quel mare ci si allargava attorno. Cantavamo, nel tornare a valle, noi fratelli: non bene, infantilmente. E nel ricordo, ora, quelle nostre voci sotto al cielo mi paiono inconsapevoli preghiere. Come di figli lasciati soli, che cercano chi li prenda per mano. Marina Corradi. Avvenire.
Eppure Michele non deflette. Neanche di fronte a strofe che, esaurito l’irredentismo, oggi sembrerebbero slogan di Borghezio, più che versi di Luigi Mercantini in Inno a Garibaldi («Va fuori d’Italia! Va fuori ch’è l’ora!/ Va fuori d’Italia! Va fuori, stranier!»). «Se l’amore per il proprio Paese oggi diventa consapevolezza della propria storia», commenta Michele, «la paura dell’altro svanisce: è l’insicurezza a provocare il razzismo». E continua: «Voglio spezzare una lancia anche in favore dell’etica del Lavoro, uno dei fondamenti della nostra società. Anche se sì, lo ammetto, certi versi sono ridicolmente retorici». La canzone del fabbro ferraio di Francesco Dall’Ongaro ad esempio: «Picchia, o martello, squilla sonoro!/ Viva l’Italia! Viva il lavoro!/» Al che Gino sbotta: «Pensa le prese per il culo su Twitter, se ‘sti versi fossero nati oggi!» Gino&Michele, Che dice la pioggerellina di marzo? Manni (Antonella Barina), ilvenerdì.
Prima di cominciare a scrivere faccio un giro intorno alla casa. Mi libero la testa e faccio il segno della croce, come i calciatori prima delle partite. Poi mi metto lì e aspetto che arrivino le parole. Giorgio Montefoschi, scrittore. (Vittorio Zincone). Sette.
Mia moglie dice che scrivo sempre le stesse cose. No: è lei che le legge. Roberto Gervaso. Il Messaggero.
di Paolo Siepi, Italia Oggi