L’indagine di Lanza
di ALVISE LOSI
«L’ufficio è un uomo vivo che, dovunque io sia, mi guarda con gli occhi innocenti, una persona con la quale sono stato in qualche modo che ignoro». C’è tutto Franz Kafka in questa frase. Lo scrittore e l’uomo. E, quasi una novità per chi del grande autore abbia una conoscenza da normale lettore, persino l’impiegato. Ci sono il disagio e la malinconia dell’essere umano, ma anche la capacità visionaria nello scrivere e, in ultimo, la serietà sul luogo di lavoro. Perché, nonostante oggi come cento anni fa sia comune identificare l’intellettuale come persona che vive solo della propria arte e del proprio ingegno, la realtà è che Kafka era un valente impiegato. Prima per le Assicurazioni Generali, poi per l’Istituto di Assicurazioni contro gli Infortuni per il Regno di Boemia, una sorta di odierno Inail. Molti dei tratti del Kafka narratore sono indissolubilmente connessi alle peculiarità di quella Praga che a inizio Novecento era uno dei più importanti centri della cultura mitteleuropea. Ma è scoprendo le caratteristiche dell’impiegato che si spiega meglio il duplice sentimento di comprensione e repulsione per la burocrazia che traspare dai racconti e dai romanzi pubblicati dallo scrittore o dal suo amico Max Brod dopo la morte di Franz. Il narratore conosceva a fondo gli ambienti che descriveva. A indagare oggi questa seconda, o forse prima, vita di Kafka è il giornalista Cesare Lanza , che ne scrive nel curioso volumetto Nel nome di Kafka. L’assicuratore ( L’attimo fuggente, pp. 134 , euro 22 ), presentato ieri pomeriggio al MAC (Musica Arte Cultura) di Milano. «Kafka ad amici e parenti diceva di non sopportare quel lavoro», spiega Lanza, «ma i suoi colleghi non sapevano scrivesse e negli ultimi anni addirittura fu promosso e divenne ispettore per i sinistri. Riusciva ad avere un equilibrio apprezzabile tra diritti degli infortunati ed esigenze della società assicurativa». Non fu il solo, tra i grandi scrittori, ad avere un lavoro impiegatizio: come lui anche William Faulkner e Thomas Mann (entrambi assicuratori) e persino due premi Nobel italiani, Salvatore Quasimodo ed Eugenio Montale. «È poi affascinante quanto siano immediati i riferimenti al mondo del lavoro di oggi», prosegue Lanza. «Kafka fu raccomandato dal padre, ma la sorpresa, rispetto agli odierni raccomandati, era la capacità e volontà nel lavorare. In questi anni di crisi spesso capita che qualcuno trovi un lavoro che non rispecchia quello che desiderava: Kafka era nella stessa situazione, ma era encomiabile nella sua professionalità. E poi naturalmente se ne serviva per lo scrivere, dove trasfigurava gli aspetti della burocrazia insopportabile, della corruzione, della gerarchizzazione. Tutti problemi che ancora oggi vediamo nella società attuale. Il suo atteggiamento silenzioso e isolato sul lavoro faceva da contraltare alla capacità straordinaria di scrittore: sapeva raffigurare in modo quasi visionario i difetti di una società che conosceva particolarmente bene».
di ALVISE LOSI, Libero