L’emissione del 2013 dell’istituto aretino rendeva meno dei Btp. È finita alle famiglie sotto gli occhi di Bankitalia e Consob
Aschero Burali, 66 anni, e il direttore dell’agenzia 8 di Banca Popolare dell’Etruria erano amici di famiglia. Anni di cene insieme o a scartare i regali di Natale la sera della Vigilia. Così quando nel giugno del 2013 l’amico lo chiama per proporgli un investimento che «ti conviene», non ci ha pensato più di tanto. Su consiglio dell’amico («Basta che siano sicuri». «Non ti preoccupare»), ha venduto le obbligazioni «senior», le più sicure, che aveva e sarebbero scadute solo tre mesi dopo e ha comprato i nuovi bond subordinati appena emessi. Da novembre, quando banca Etruria è stata messa in risoluzione insieme a Banca Marche, CariFerrara e CariChieti, non si sono più rivisti. L’amico è stato trasferito ad un’altra filiale. Quello di Aschero è uno dei 400 casi vagliati dal Nucleo tributario di Arezzo e di Firenze della Guardia di finanza. Quello che il signor Burali non sapeva fino a tre giorni fa è che le obbligazioni senior che ha venduto rendevano quanto i famigerati titoli subordinati. Il 3,5%. Che è già da sé un controsenso. Ma proprio quella emissione di bond subordinati del giugno 2013 (60 milioni di euro, finiti per il 57,2% alle famiglie) è la peggiore tra tutte quelle azzerate dal decreto di novembre. Perché quei titoli rendevano non solo molto meno dei titoli analoghi emessi dalle altre banche. Ma anche del Btp di pari durata emesso in quel periodo, che aveva un rendimento del 3,54%. Ovvero, stando alla regola che vuole rendimenti più alti per rischi maggiori, quel bond subordinato di Etruria era più sicuro dei titoli dello Stato italiano. Mentre il direttore dell’Agenzia 8 convinceva il suo amico a vendere i titoli più sicuri e comprare quelli più a rischio in cambio di niente (stesso rendimento) alla Popolare dell’Etruria era in corso dal 4 dicembre del 2012, più di sei mesi, una ispezione della Banca d’Italia. Che aveva richiesto un rafforzamento patrimoniale, realizzato in parte con un aumento di capitale da 100 milioni e in parte proprio con quel bond subordinato «Lower tier II» finito in malora. Sotto gli occhi degli ispettori, che da tempo premevano per rinforzare il capitale, la banca ha scaricato 60 milioni di euro di bond subordinati sui suoi correntisti. Alla Banca d’Italia però non spetta la vigilanza sulle modalità di vendita dei titoli allo sportello, ovvero sugli argomenti che il direttore dell’Agenzia ha utilizzato per convincere il signor Burali a comprare dei titoli ad alto rischio e basso rendimento. È un compito questo che spetta alla Consob. Che il 18 aprile del 2013 ha approvato il prospetto dell’operazione. E il 31 maggio successivo ha ricevuto la nota informativa della banca sulle condizioni definitive dell’investimento. La nota di 21 pagine si pare con l’avvertenza che quel bond è rischioso. Che in caso di liquidazione della banca si rischia di perdere tutto o parte del capitale investito. Poi sono riportati una serie di rischi: la mancanza del rating, che l’agenzia Fitch aveva ritirato all’inizio del 2012 su richiesta della banca stessa (era BB+, non particolarmente brillante né sicuro). Poi c’è la segnalazione che i bilanci sono in rosso, che le sofferenze crescono in misura esponenziale, che l’attività della banca si è concentrata negli investimenti in titoli di Stato (passati in un anno da 1,4 miliardi a 4,6 miliardi) e che nonostante questo i conti siano in rosso. Che chi vendeva i titoli era lo stesso che avrebbe beneficiato dell’incasso, ovvero sempre la banca. Che avrebbe anche comprato e venduto i bond di coloro che volevano disfarsene, con un macroscopico conflitto d’interesse. Poi c’è scritto anche che rendevano appena il 3,5%, meno di un Btp.
La Stampa