Prosegue il percorso di Riad verso l’abbandono della dipendenza dal greggio. Lascia l’81enne Ali al-Naimi, al suo posto il braccio destro del principe Mohammed, Khaled al-Faleh che dice: “Rafforzeremo la nostra posizione di fornitore di energia più affidabile del mondo”
L’Arabia Saudita non intende cambiare la sua politica petrolifera. Lo assicura il nuovo ministro dell’Energia, dell’Industria e delle Risorse mineraria, Khaled al-Faleh, che ha preso il posto del veterano Ali al-Naimi e ha dichiarato che Riad “rafforzerà la sua posizione di fornitore di energia più affidabile del mondo”. Gli analisti, però, aspettano la reazione dei mercati.
Al-Naimi, infatti, era considerato l’Alan Greenspan del petrolio, una sorta di “vecchio saggio” capace di pilotare per 30 anni i mercati petroliferi: come l’ex presidente della Fed manovrava i tassi Usa, condizionando i mercati finanziari mondiali, così al-Naimi muoveva il prezzo del petrolio, condizionando il mercato energetico globale. In carica dal 1995, l’ex ministro è stato rimpiazzato dal ministro della Sanità e presidente del colosso petrolifero Aramco, al-Falih, ma oltre a lui sono stati silurati anche i ministri dell’Energia, dell’Acqua, dei Trasporti, del Commercio, degli Affari sociali, della Salute e del Pellegrinaggio: un maxi rimpasto di governo con l’obiettivo di risollevare le sorti di un’economia duramente colpita dal crollo dei prezzi del greggio.
Naimi, in particolare, paga il fatto di essersi schierato contro la decisone di re Salman di abbassare la produzione di petrolio di fronte al calo dei prezzi, una strategia opposta a quella seguita in passato. Il suo dicastero inoltre é stato anche rinominato ministero dell’Energia, dell’industria e delle risorse minerarie. Al-Faleh però rassicura i mercati: “Ci siamo impegnati a soddisfare la domanda attuale e quella aggiuntiva dei nostri clienti mondiali il cui numero non cessa di aumentare nell’utilizzo delle nostre capacità”.
Nel comunicato il nuovo ministro evidenzia che il suo dicastero nasce per realizzare gli “ambiziosi obiettivi” indicati dal piano recentemente varato dal principe Mohammed, figlio di re Salman, che ha assunto le deleghe per la politica economica. Il piano prevede che il paese crei un fondo sovrano, che con una dotazione di duemila miliardi di dollari sarebbe il maggiore a livello mondiale, e ceda una quota di Aramco, il colosso statale del petrolio, con i cui incassi il Regno ha creato enormi riserve fiscali attraverso le quali finanzia un generoso sistema di occupazione pubblica, sussidi ai cittadini e welfare.
Il nuovo ministro del Petrolio saudita va dunque a ricoprire uno dei posti più influenti al mondo, ma alle sue spalle, a muovere le fila della politica economica ed energetica del regno sarà il principe Mohammed che ha preso maggiori poteri dopo il crollo delle quotazioni che hanno appesantito i conti pubblici: nel 2015 Riad ha registrato un rosso da record con un buco da 87 miliardi di dollari, previsto anche per quest’anno. Di qui la necessità di una profonda ristrutturazione e, nella visione di Salman, anche di uomini nuovi.
Al-Naimi, d’altra parte, ha 81 anni: ufficialmente il suo avvicendamento è legato a problemi di età, ma gli addetti ai lavori non escludono che la sua caduta sia stata affrettata dal mancato accordo di Doha sul congelamento della produzione petrolifera mondiale. E – d’altra parte – Al-Faleh, uno dei leader di Saudi Aramco, è uno degli uomini più vicini al principe saudita. Come detto, l’attesa è per la reazione dei mercati con gli analisti che aspettano di capire come si orienteranno i prezzi: le quotazioni de lgreggio sono crollate proprio per le mosse dell’Arabia Saudita che ha incrementato la sua produzione per mettere in difficoltà lo shale oil Usa e rinsaldare la sua posizione sul mercato, ma ora il prezzo è tornato a salire anche si i mercati continuano a registrare un eccesso di offerta.
Di certo l’Arabia Saudita fa un altro passo nel suo cammino verso l’abbandono della dipendenza dal petrolio annunciata entro i prossimi 15 anni. A fine aprile il governo ha approvato una serie di profonde riforme economiche volte a far pesare sempre meno sul bilancio i profitti legati all’oro nero, che l’anno scorso hanno contato per il 70%. Non a caso, nell’annunciare il piano, il principe Mohammed aveva definito l’Arabia Saudita un Paese petrolio-dipendente.
Repubblica