Il cambio sfavorevole e i dazi imposti dalla Cina stanno mettendo in grande difficoltà la storica industria svizzera. Inoltre, cheap dal cellulare al monitor del computer, per controllare l’ora abbiamo ormai decine di alternative. Ma la vera minaccia si chiama smartwatch: il device tuttofare nel 2015 ha superato per la prima volta il tradizionale oggetto da polso per numero di spedizioni. I produttori di fascia alta come Bulgari restano però ottimisti: “In fondo sono fatti solo di plastica e chip”
di FRANCO ZANTONELLI
Volendo avere un’idea del momento particolare che sta attraversando l’industria orologiera svizzera, order basta dare un’occhiata a uno spot pubblicitario, affidato a Gerard Depardieu, per il mercato russo. “Se vuoi far secco un cervo devi essere preciso”, afferma l’attore francese, grande sodale di Putin per ragioni fiscali, che si fa filmare, con il fucile in mano, sulla carcassa di un animale appena abbattuto. È la réclame di Cvstos, un marchio elvetico che produce orologi tanto costosi quanto vistosi, che a quanto pare piacciono ai russi. “Grazie al mio Cvstos sono stato preciso”, dice trionfante Depardieu, a cavalcioni del cervo stecchito, esibendo al polso un grosso orologio da 18mila euro.
Lo spot dell’attore ha fatto infuriare gli ambientalisti occidentali, di cui Depardieu si fa probabilmente un baffo, ma a quanto pare è piaciuto ai russi. Fatto sta che servono anche sceneggiate del genere per tenere in piedi un settore, come quello orologiero, che storicamente è fondamentale, per il commercio estero svizzero. L’anno scorso le esportazioni hanno toccato i 21,5 miliardi di franchi, poco meno di 20 miliardi di euro, con un calo del 3,3%, rispetto all’anno precedente. Non un dato drammatico, intendiamoci, sufficiente però per creare allarme tra gli operatori elvetici. “Il rallentamento e, in alcuni casi, il tonfo delle economie emergenti sono in realtà i fattori preponderanti per il calo delle esportazioni, sulla quale pesano inoltre i dazi doganali che ancora esistono nel commercio internazionale, in particolare con la Cina”, spiega a Repubblica.it Sergio Rossi, professore di macroeconomia all’Università di Friburgo. “Inoltre – aggiunge l’esperto – non bisogna dimenticare il ruolo giocato dal franco forte, presso il ceto medio dei principali mercati di sbocco dell’industria orologiera svizzera”.
Poco più di un anno fa, infatti, dopo essersi dissanguata per difendere il franco dalla speculazione, la banca centrale svizzera abolì il tasso di cambio fisso, adottato nei confronti dell’euro, rendendo da un giorno all’altro molto più cari, per i consumatori esteri, molti prodotti del Made in Switzerland. “Uno tsunami per l’economia svizzera”, insorse contro quella decisione il ceo di Swatch, ovvero il principale fabbricante orologiero del pianeta, Nick Hayek. Swatch, che oltre agli orologi in plastica ha in listino marchi quali Omega, Longines, Blancpain e Tissot, ha finito per chiudere il 2015 con una contrazione degli utili del 21%.
Ma l’industria elvetica, oltre ad eventi di macroeconomia fuori dalla sua portata, paga forse anche un proprio errore di valutazione. L’orologio tradizionale soffre infatti la concorrenza degli smartwatch. Stando agli ultimi dati elaborati da Strategy Analytics, questi ultimi hanno compiuto uno storico sorpasso, superando per volume il mercato di quelli classici. In particolare, nell’ultimo trimestre del 2014 le spedizioni di orologi smart nel mondo hanno toccato quota 8,1 milioni di pezzi con una crescita del 316% anno su anno mentre quelli tradizionali si sono fermati a quota 7,9 milioni di pezzi, con un rallentamento del 5% solo in Svizzera. La fascia degli orologi tradizionali più colpita è stata quella tra i 200 e i 500 dollari.
Un boom sottostimato, visto che inizialmente Swatch, cosi ha raccontato lo stesso ceo Hayek, venne contattata da Apple per una possibile sinergia produttiva cui tuttavia il colosso elvetico rinunciò. “Un giochino interessante, non una rivoluzione”, furono le parole con cui lo scorso anno Hayek definì l’arrivo sul mercato dell’Apple Watch. Ora il manager pare essersi almeno in parte ricreduto visto che dal 2015 la sua azienda sviluppa degli orologi interconnesi con batteria di lunga durata. Un’innovazione più imposta che convinta, come ha precisato lo stesso ceo di Swatch precisando che “noi rimaniamo un’industria orologiera e non abbiamo intenzione di correre dietro a coloro che si buttano sui telefoni da mettere al polso”. “In realtà – è ancora l’opinione del professor Rossi – si tratta di un’innovazione radicale che, in quanto tale, necessita di molti anni e vari aggiustamenti, prima di diventare un prodotto di largo consumo”.
Tornando alla macroeconomia, va detto che, oltre al franco forte, il colosso elvetico è penalizzato anche dall’elevato costo del lavoro nella Confederazione. “Per Swatch, il cui mercato principale si trova fuori dai confini svizzeri, il costo del lavoro pone un problema, nella misura in cui il potere d’acquisto di una ampia quota della popolazione mondiale non è sufficiente per consentire, a una fetta importante di consumatori, l’acquisto di un orologio nel segmento medio-alto, ossia il cui prezzo supera 5000 euro”, sottolinea l’economista Sergio Rossi.
D’altro canto, se su un prodotto si vuole stampigliata la menzione Swiss Made, bisogna considerare che l’operaio e il tecnico che hanno contribuito a realizzarlo, non guadagnano meno di 4 mila Euro mensili. Insomma, franco rivalutato, costo del lavoro alle stelle, senza dimenticare le difficoltà delle economie emergenti, dove l’industria del lusso faceva affari d’oro, quando in Europa e negli Stati Uniti imperversava la crisi, hanno contribuito a ridurre i guadagni di Nick Hayek e dei suoi colleghi. “Occorre tener presente – ha dichiarato alla Tribune de Genève Jean-Daniel Pasche, presidente dell’associazione dei fabbricanti svizzeri di orologi – che Hong Kong, ovvero il 14,3% del totale delle nostre esportazioni, lo scorso anno ha subito una flessione del 23%”. “Inoltre, dopo gli attentati di Parigi, il turismo in Europa ha subito un calo e, di conseguenza, anche la vendita dei nostri orologi ne ha risentito”, dice ancora Pasche.
In attesa di capire la reale portata della minaccia rappresentata dagli smartwatch, l’orologeria svizzera deve fare i conti con il presente e in particolare con l’affondamento del mercato russo, piegato dalle sanzioni e dal crollo del prezzo del petrolio. E per fortuna che c’è Gerard Depardieu, in veste di cacciatore di cervi, ad esibire il suo Cvstos della linea “orgoglioso di essere russo”.
Bulgari: “Smartwatch? Solo plastica e chip”
di SARA BENNEWITZ
MILANO – Il rallentamento registrato dagli orologi svizzeri nel 2015, non sembra riguardare Bulgari, storico marchio italiano di gioielli e orologi di alta gamma che cinque anni fa è stato acquistato dal colosso francese Lvmh. Anzi, per l’ad della griffe romana Jean Christophe Babin anche il 2016 è partito bene, perfino in Cina.
Il 2015 per i produttori di orologi svizzeri no è stato un anno positivo, soprattutto a causa Cina, a Bulgari invece come è andata?
“Come accennato da LVMH nella comunicazione dei risultati di Gruppo, il 2015 è andato molto bene, in particolare per Bulgari. Abbiamo avuto molto successo non solo con i nuovi lanci Diva’s Dream, Lucea e con l’alta gioielleria Giardini Italiani ma anche con le collezioni storiche – in particolare B-zero1, Serpenti, Bvlgari-Bvlgari e Octo – che ogni anno si arricchiscono di nuove referenze e creatività. Sicuramente i cinesi pesano parecchio nel settore dei beni di lusso e la loro ulteriore crescita, verificata nei primi due mesi del 2016, rimane importante per la nostra crescita complessiva. Ma non possiamo dipendere solo da loro. Cerchiamo di avere una crescita equilibrata ed investiamo molto anche in Giappone, negli Stati Uniti o in Medio Oriente dove continuiamo ad avere ottimi riscontri e risultati”.
Il calo vendite degli orologi elvetici 2015, riguarda tutto il mercato o solo quello di ascia medio-bassa?
“Secondo la FH Svizzera il mercato complessivo è calato dal 4%, e il calo si registra più o meno identico in tutte le fasce di prezzo. I motivi però sono diversi. Sull’alto di gamma, i nuovi controlli e la severità delle multe alla dogana in Cina hanno sicuramente rallentato gli acquisti all’estero. Per quanto ci riguarda, nella Cina continentale prosegue la forte crescita già osservata da due anni: la conferma viene dal Capodanno cinese (8 febbraio scorso ndr) che è stato molto buono. I cinesi continuano inoltre a viaggiare parecchio e comprare molto all’estero ma hanno cambiato destinazioni: comprano meno a Hong Kong e in Europa, di più in Giappone, Korea, Singapore, Middle East ed Australia. Per la fascia medio-bassa invece è più da imputarsi all’impatto degli smartwatches che sicuramente comincia a farsi sentire”.
La crescita del mercato degli smartwatch come Apple in qualche modo preoccupa anche voi che fate alto di gamma?
“In Bulgari pensiamo che l’orologio di manifattura rimarrà sempre un oggetto di grande valore emozionale, sia per l’elevato contenuto di artigianalità che lo connota sia per il suo stile, nato per essere senza tempo e slegato dalle mode. Esattamente il contrario dello smartwatch che nasce per diventare obsoleto e proprio per questo è tutto plastica e microchip asiatici. Premesso questo, l’ingresso degli smartwatch sul mercato rappresenta anche un’opportunità per Bulgari: lo scorso anno a Basilea abbiamo presentato il nostro primo concept watch connesso, il Diagono Magn@sium, un orologio che offre la sicurezza cibernetica del proprio ecosistema digitale senza rinunciare all’assoluta garanzia di qualità della manifattura Svizzera. Diagono Magn@sium è quindi un orologio 100% meccanico e 100% senza tempo. Quest’anno abbiamo riproposto il progetto, in una versione più accurata a Davos e ne riparleremo anche alla prossima Fiera di Basilea”.
Qual è il valore aggiunto degli orologi di lusso made in Svizzera?
“Credo che la Svizzera abbia un sistema scolastico unico al mondo in quanto è uno dei pochi paesi che ancora crede nel valore dei mestieri manuali quali la micro meccanica: questo le ha permesso di mantenere e sviluppare un livello di artigianalità che non ha eguali in Europa. E’ inoltre una cultura che punta molto all’innovazione e questo ha fatto sì che gli orologi svizzeri siano divenuti negli anni non solo oggetti di lusso ma anche molto desiderabili in quanto all’avanguardia delle tecniche orologiere. Chi acquista un orologio svizzero sa di appropriarsi di un oggetto fatto di tradizione, precisione, qualità, atemporalità che magari un giorno diventerà un bellissimo regalo da tramandare ai propri figli. Questo accade solo negli orologi, nei gioielli e nell’arte”.
Quali sono, secondo lei le prospettive di crescita del settore nel 2016?
“Chi come Bulgari può contare su di una rete di negozi di proprietà dovrebbe avere meno difficoltà di chi dipende dai concessionari che spesso sono gravati dallo stock di vendite natalizie deludenti e che già al SIHH di Ginevra hanno chiaramente espresso la volontà di acquistare in modo molto selettivo. Di nuovo vinceranno i marchi creativi, coerenti e flessibili”.
In proposito avete pianificato maggiori investimenti?
“Non posso dare numeri precisi però posso dire che nel 2016 gli investimenti commerciali, di marketing, di manufacturing e di magazzino per supportare la crescita, saranno significativamente più alti rispetto al 2015 che è stato già un anno molto importante e in forte crescita sul 2014. Stiamo inoltre costruendo a Valenza la nostra nuova Manifattura di gioielleria che entrerà in funzione a fine anno e sostituirà i due siti produttivi attuali, incrementando la capacità e creando a regime più di 300 nuovi posti di lavoro.”Oggi invece abbiamo 5 manifatture in Italia di gioielli e 4 in Svizzera che fabbricano i principali componenti dell’orologeria ed assemblano gli orologi Bulgari”.
Altro che bluff, il sorpasso è solo l’inizio
di ERNESTO ASSANTE
ROMA – A dispetto di chi immaginava che gli smartwatch sarebbero stati archiviati in fretta, gli orologi intelligenti stanno cambiando il mercato, sono un successo, come certifica il sorpasso su quelli tradizionali avvenuto nel 2015 di cui racconiamo negli articoli qui sopra. Oggetti in evoluzione, sono device giovani e sono destinati a migliorare, e di molto: pensate a com’era il primo iPhone, o i primi tentativi di telefoni cellulari e guardate quello che sono oggi gli smartphone; bene, accadrà lo stesso con gli smartwatch. Che forse tra qualche tempo, se avremo il coraggio, non chiameremo più nemmeno così, perché se è vero che gli smartphone hanno conservato la funzione telefonica ma sono sostanzialmente macchine multimediati portatili, è ancor più vero che gli orologi intelligenti sono talmente intelligenti già oggi da essere orologi solo molto secondariamente. L’esperienza, infatti, ci dice che la funzione di controllo del tempo l’abbiamo ormai affidata ad altre macchine, ai cellulari innanzitutto, ma anche ai computer, alle automobili, ai frigoriferi, alle mille e una macchina che hanno inglobato la funzione.
Molti, dopo aver indossato sul polso degli orologi per tutta la vita, hanno smesso di indossarli, non per una vera e propria scelta, ma per la sostanziale inutilità del singolo oggetto dedicato ad un unica funzione. In tanti hanno iniziato a dimenticarlo sul comodino qualche mattina, finendo per non usarlo più. Lo smartwatch invece è finito sul polso di molti, perché fa altro, sostanzialmente perché non è un orologio, perché è un device che può essere dedicato ad altro, e nel frattempo ci dice anche che ora è. Ci dice che tempo fa, chi ha chiamato al telefono, quali messaggi abbiamo ricevuto, quanti battiti ha il nostro cuore, quanti gradini abbiamo sceso o salito, quante calorie abbiamo consumato, quali sono le ultime news, e via così, a seconda delle app che abbiamo deciso di caricare o sincronizzare con il nostro smartwatch.
Siamo all’alba dell’era dei wearables, dei device indossabili, che possono essere, anzi saranno, una delle molte forme del futuro, una delle più pratiche e naturali, molto più che usare un computer o un cellulare. E la porta d’ingresso a questa nuova era sono proprio gli orologi intelligenti, leggeri, comodi, già oggi “invisibili” perché sostitutivi di un oggetto che era già, da decenni, addosso a noi naturalmente, oggetto che nessuno vedeva come un “indossabile” ma che già lo era per natura, e già era diventato da molto tempo digitale.
Inevitabile? Oh, a dire il vero, nulla è inevitabile, ci sono persone che ancora oggi, per scelta, vivono senza essere collegati ad internet, senza uno smartphone, c’è anche chi vive benissimo senza televisione. Ma, se ci è concesso di vestire i panni di chi prevede il futuro (e quindi è portato all’esagerazione visionaria), è facile immaginare che i prossimi anni vedranno sempre più smartwach (o come vorremo chiamarli) sui nostri polsi, perché le funzioni già presenti oggi miglioreranno, si semplificheranno, si moltiplicheranno e sarà sempre più difficile (non per noi che siamo nati nel secolo scorso e abbiamo ancora una solida vita analogica, ma per i giovani nativi digitali) vivere senza. Che sia o meno una condanna, saremo sempre più “always on”, più connessi, e ogni forma più “naturale”, ogni estensione del nostro corpo che al nostro corpo si adatti, sarà da noi vista con maggior favore.
Non solo è già così, ma lo dicono anche le previsioni, che annunciano vendite triplicate nel 2016 per l’Apple Watch, ma cifre in crescita anche per il Samsung Gear S2 e ovviamente per tutti gli indossabili, che siano orologi o fitness tracker, a partire da quelli di Fitbit, Xiaomi, Casio, crescita che sarà anche molto legata al comparto della moda, che sembra aver scelto in maniera decisa il campo delle nuove tecnologie. I dispositivi indossabili, secondo il rapporto IDC, nel 2016 creeranno un giro d’affari complessivo attorno ai 30 miliardi di dollari, di cui oltre 11 milioni arriveranno solo dagli smartwatch. I dispositivi indossabili sono qui per rimanere.
In Italia quello classico resta status symbol
di FRANCO ZANTONELLI
GINEVRA – Nick Hayek, figlio del geniale creatore di Swatch, e a sua volta brillante top manager, si è parecchio lamentato, nel corso del 2015, per i non buoni risultati raggiunti. Franco forte e crisi delle economie dei paesi emergenti hanno contribuito alla contrazione degli utili del suo gruppo, il principale al mondo, nella fabbricazione di orologi. Eppure, nonostante tutto, gli dovrebbe tornare il sorriso, visto che i dividendi delle azioni di Swatch porteranno, a breve, nelle casse della famiglia Hayek, la bellezza di 83,5 milioni di franchi, ovvero un’ottantina di milioni di Euro. Alla faccia della crisi, verrebbe da dire. Ebbene Swatch, che non fabbrica solo orologi di plastica, insieme ad altre due aziende svizzere, Richemont e Rolex, figura nella top ten mondiale del lusso. Insieme questi tre gruppi fatturano, all’incirca, 4,5 miliardi di euro.
Sempre nella classifica mondiale dei fabbricanti di prodotti di lusso troviamo, ben piazzati, altri 3 marchi prestigiosi dell’orologeria elvetica: Patek Philippe, Audemars Piguet e Breitling. E a disputarsi questi gioiellini chi primeggia in Europa? Gli italiani, stando alla Federazione orologiera svizzera. “Nel 2014 hanno acquistato orologi Made in Switzerland per un miliardo e 200 milioni di Franchi”, recita il rendiconto dell’associazione. Il che significa un miliardo circa di euro, quando il Belpaese era ancora in recessione. Ben 980 milioni di franchi sono stati spesi per gli orologi con meccanismo meccanico, quindi per quelli più costosi, poco più di 200 milioni per quelli più economici al quarzo. “Difficilmente il potere d’acquisto dei ricchi subisce scossoni”, commenta il presidente della Federazione orologiera svizzera, Jean-Daniel Pasche. “Va detto, poi – aggiunge -che in epoca di crisi l’orologio di marca può diventare un bene rifugio”.
Più prosaica la spiegazione dell’omologo italiano di Pasche, Mario Peserico. “Da noi – dice – la gente ama vestirsi in modo elegante e portare orologi di marca. Anche al sud, dove c’è meno ricchezza”. In effetti, se prendiamo ad esempio Rolex, uno dei marchi più amati dagli italiani, la sua diffusione è decisamente inferiore nei paesi scandinavi, dove peraltro il pil pro-capite è più elevato. Se gli italiani fanno la loro parte in Europa, a primeggiare nel mondo sono i cinesi: Hong Kong è il mercato più importante, in termini percentuali, per l’orologeria elvetica. Anche se, di questi tempi, sta facendo soffrire Hayek e compagnia considerando che, in gennaio, ha fatto segnare una contrazione delle vendite del 33%. Cionostante, a leggere i dati di Svizzera Turismo, i cinesi letteralmente si scatenano, quando arrivano nella Confederazione, anche perché i dazi sono meno elevati che nel loro paese. Cosi, in molti negozi del lusso, oreficerie e orologerie comprese, a Ginevra e a Zurigo, ma anche a Zermatt e a Sankt Moritz, ormai ci sono commesse in grado di cavarsela con il mandarino.
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