A differenza di Bartleby, advice lo scrivano del racconto di Hermann Melville, che rispondeva «preferisco di no» a qualunque richiesta di copiare un documento o di sbrigare una pratica, Franz Kafka fu sempre un impiegato modello, prima delle Assicurazioni generali di Praga, poi dell’Istituto d’assicurazioni contro gl’infortuni per il Regno di Boemia. Cesare Lanza, in questo suo elogio di K. l’Assicuratore, lascia da parte il lato per così dire più immediatamente kafkiano dell’opera di Kafka per concentrarsi sul lato professionale, quotidiano, della sua esistenza. Non che i due lati della Metamorfosi (da una parte l’impiegato, dall’altro lo scrittore) siano così facilmente separabili, naturalmente. Se c’è una cosa di cui i personaggi di Kafka, come pure il loro autore, hanno bisogno per affrontare i labirinti e le tempeste della vita, che per sua natura è sotto perpetua minaccia, è un’assicurazione contro le disgrazie, contro l’insinuarsi degl’incubi e dei mostri nell’esperienza d’ogni giorno. Ma campa cavallo. Utili nel mondo per così dire fisico, le assicurazioni raramente funzionano in quello metafisico. Di qui il côté tragico della condizione umana. Puoi magari ottenere il risarcimento in caso d’incidente automobilistico e anche garantirti una pensione per la vecchiaia pagando regolarmente le rate dell’assicurazione. Ma non c’è polizza al mondo che possa indennizzare chi incontra l’ Odradek, una creatura che somiglia a un rocchetto di filo e parla con una voce che ricorda il frusciare delle foglie cadute. E come garantirsi contro gli orrori dell’autorità paterna? A Praga, in via Dusní, nel quartiere ebraico, c’è la statua d’un minuscolo Kafka a cavalcioni d’un grande, spaventoso cappotto vuoto: il Padre di Kafka – e di tutti noi, nonché il Padre che noi stessi siamo per i nostri figli – nella Descrizione d’una battaglia. Come assicurarci contro le pretese di questa mostruosa allegoria (Padre, ma anche Castello e Processo, e forse persino un po’ livido e horroroso Teatro d’Oklahoma) che incombe su tutti noi dal primo fino all’ultimo giorno della nostro vita? Lanza ha scovato negli archivi praghesi dell’ Istituto d’assicurazioni contro gl’infortuni per il Regno di Boemia alcuni documenti opera di Kafka ancora conservati in qualche polveroso faldone fuori vista. Credo che finora non li avesse mai letti e citati nessuno. Immagino che gli storici della letteratura modernista, attenti esclusivamente o quasi all’elemento trompe l’oeil della novellistica kafkiana, non li abbiano considerati abbastanza utili o eloquenti. Eppure lo sono. Non per quel che dicono, e nemmeno per come lo dicono, ma per l’esorcismo di cui sono espressione, un esorcismo analogo a quello che Kafka tenta nelle sue storie, e altrettanto disperato. Ci sono le considerazioni di Kafka assicuratore sulla sindrome traumatica da stress nei reduci delle trincee: «La guerra mondiale, che porta raccolta in sé tutta l’umana sofferenza, è anche, più di quanto sia mai accaduto in un con itto del passato, una guerra dei nervi. In questa guerra dei nervi, troppi sono coloro che soccombono». È di questa inedita «guerra dei nervi» – del trauma bellico e storico che ha vissuto il mondo nel secondo decennio del secolo breve, un trauma da cui non ci siamo ancora ripresi e che tuttora riverbera nel fanatismo politico e religioso – che è fatta la letteratura dell’epoca, Kafka in particolare. Altri impiegati – come lui «di concetto», o meno esemplari di lui – hanno scritto le opere memorabili dell’Otto e Novecento. Lanza li enumera e racconta un po’ tutti, con penna sapiente e divertita: « Balzac, Chateaubriand, Eliot, Dickens, Bukowski, Dostoevskij, Gogol, Turgenev, Puskin, Stendhal, Maupassant, Melville, Poe, Bellow, Borges, Musil, Neruda, Orwell, Quasimodo, Montale, Saba, Collodi, Svevo, Gadda, Fenoglio, Chiara, Mann, Faulkner, London e Bernanos ». Tutti loro, come Kafka, hanno preso parte (e noi con loro) alla «guerra dei nervi» dei tempi moderni. In un modo o nell’altro, sempre come Kafka, ciascuno di loro è il profeta o il testimone dell’universale sindrome post traumatica da stress di cui tutte le culture contemporanee sono la metamorfosi in insetto. Cesare Lanza, «Nel nome di Kafka l’assicuratore», L’attimo fuggente 2016, pp. 136, 22,00 euro © Riproduzione riservata.
di Diego Gabutti “Italia Oggi”