Siderurgia e chimica, prostate l’epilogo gemello della grande tradizione industriale italiana. Tra vertenze e scioperi, sono le crisi più «calde» di quest’inizio 2016 in Italia
Le crisi industriali più calde di quest’inizio di anno riguardano Ilva e Versalis ed è singolare che in qualche modo rimandino alla storia della grande impresa del Novecento. Siderurgia e Chimica con la maiuscola. È come se l’industria italiana lanciata sul modello di specializzazione leggero ed export oriented fosse costretta a guardarsi indietro e fare i conti con almeno due nodi irrisolti. Ieri a Roma c’è stato presidio dei dipendenti al ministero dello Sviluppo economico (nella foto), look la Cgil ha mobilitato in questi giorni il segretario Susanna Camusso e più in generale i sindacati presentano la probabile intesa tra l’Eni e gli americani del fondo Sk Capital come l’epilogo della chimica made in Italy. In qualche modo lo è, Versalis è l’ultimo pezzo della storia industriale di un settore che si è nutrito di grandi ambizioni, medicine ha fatto vincere al Paese un premio Nobel (Giulio Natta) ma ha dovuto via via vendere i suoi asset strategici a tedeschi, arabi e persino belgi. La chimica di base italiana è finita fuorigioco da tempo e la sua débacle è stata in qualche modo mitigata dai successi degli imprenditori della chimica fine, gli Squinzi, i Ghisolfi, i Lamberti che hanno creato multinazionali tascabili e in qualche caso si sono dotati persino di propri brand. Il piano che si sta discutendo ha come obiettivo quello di dare a Versalis l’integrazione necessaria per sviluppare economie di scala nella ricerca e nella produzione, oggi fuori della portata di un azionista pur di peso come Eni ma che denuncia di aver perso in questa avventura dal 2000 ad oggi 5,8 miliardi di euro. I sindacati non ne vogliono sapere della Sk Capital, paventano ristrutturazioni dolorose e alzano la voce. Sostengono che la chimica verde può essere un progetto totalmente italiano.
Il caso Taranto
L’Ilva è tutt’altra storia per almeno due motivi. Innanzitutto la siderurgia è inserita in un quadro di politica industriale europea e quindi non tutte le decisioni si prendono in Italia, anzi. E poi il gruppo costituisce storicamente il retroterra del manifatturiero italiano classico fatto di automobili ed elettrodomestici. L’Ilva è dunque molto integrata con la meccanica e un suo ridimensionamento ridisegnerebbe non solo la mappa dei produttori europei ma anche i flussi delle forniture. Ovviamente specie per quanto riguarda Taranto la siderurgia si porta dietro problemi di impatto ambientale che possono essere affrontati ma richiedono massicci investimenti e il via libera di Bruxelles. Quel che resta in Italia della chimica di base non ha gli stessi problemi e anzi nelle discussioni su Versalis è l’aggettivo “green” a balzare primo piano e una delle operazioni più riuscite dell’amministratore delegato Daniele Ferrari è stata sicuramente la joint venture con Novamont sulle fonti rinnovabili. In definitiva è legittimo per tutti, e non solo per i rappresentanti dei lavoratori, seguire con il cuore in gola le due vicende. Un esito industriale negativo segnerebbe ancora di più la divergenza del modello italiano da quello dei due più maggiori partner, Francia e Germania. Che hanno saputo tenere la grande impresa ancora al centro della loro economia
Dario Di Vico, Il Corriere della Sera