Uva, store direttore generale della Federcalcio «Centri federali, view calcio femminile e credibilità internazionale: così siamo ripartiti» Politica estera: Le «uscite» del presidente Tavecchio ci hanno rallentato ma all’estero siamo più forti
Michele Uva è il direttore generale della Federcalcio che è ripartita dalla coppia Tavecchio-Conte dopo il fallimento del mondiale brasiliano. Tra tante cose fatte e molte altre da fare, advice questo biennio rischia di ridursi ai tormentoni legati al c.t. e agli scivoloni verbali del presidente. La realtà è molto più complessa.
Ma partiamo proprio da Conte: lascia dopo l’Europeo o raddoppia fino al 2018?
«Mi sembra che sia entrato in totale sintonia col sistema e sia calato nel ruolo. Lo vedo sereno, concentrato sugli Europei. Non sono pessimista: all’inizio è stata dura, ma adesso è piacevole lavorarci assieme».
L’idea di arrivare a un Mondiale può fare la differenza?
«Ce lo auguriamo. Ma secondo me anche lui ha visto che lo abbiamo seguito sulle giovanili, su Di Biagio c.t. dell’ Under 21, sui centri federali, sulla filiera delle nazionali rinforzata. Sarebbe bello che arrivasse fino alla Russia».
Secondo lei la Figc si può permettere di aspettare fino a giugno per una decisione?
«Sì, perché quello dell’allenatore della Nazionale è un posto ambito. Ma si deciderà prima. Non sono preoccupato se Conte lascia, ma due anni sono pochi per portare avanti un progetto: speriamo che le riforme lo invoglino a restare».
Il modello tedesco a cui vi ispirate partì da Klinsmann, che dopo due anni lasciò la Nazionale. Conte rappresenta il punto di partenza del modello italiano?
«I progetti sono di proprietà della federazione e vanno al di là delle singole persone. È altrettanto vero che Conte è un testimonial, un professionista, uno che ci crede e ha dato l’avvio a una diversa mentalità: come Klinsmann è un modello di rottura, dà sempre qualcosa di diverso. Ma se domani va via, i centri federali ad esempio continueranno a vivere».
Come si articolano i nuovi centri?
«Abbiamo copiato dalla Germania, adattando alla nostra realtà un progetto che quando sarà a regime costerà 9 milioni di euro all’anno. Si parte con un centro, poi cinque, dieci, fino a duecento. Ma è modulabile: se ci rendiamo conto che ci dobbiamo consolidare, ci fermiamo».
Ma i migliori non sono già nei club professionistici?
«Non sono d’accordo. Abbiamo 150 mila tesserati dagli 11 ai 13 anni: tantissimi. Se vediamo i risultati che ottengono le rappresentative di nazioni molto più piccole, è evidente che da noi c’è una dispersione del talento».
I centri cambiano le cose?
«Sì, perché se nasci a Pisticci in provincia di Matera e nessuno ti viene a vedere, magari smetti per motivi di studio o di famiglia. I centri sono del tutto gratuiti. E abbiamo a disposizione un fondo per i casi difficili, per aiutare a non far smettere i ragazzi».
E le ragazze?
«La progettualità sul calcio femminile è molto interessante. E prevede l’obbligo per le società di A e B di avere 20 ragazze quest’anno, 40 l’anno prossimo, anche under 12. Obbligo esteso anche a Lega Pro e serie D. C’è un movimento che cresce. Con un solo rammarico…».
Quale?
«Le riforme che stiamo facendo daranno i loro frutti solo tra 5-6 anni. Parlo anche del pareggio di bilancio, del tetto alle rose, del fatto che tra quattro anni sarà impossibile fallire. Ma scherzi a parte, l’unico vero dispiacere è la litigiosità a livello politico. Anche se Tavecchio è stato bravissimo a separare la parte gestionale da quella politica».
Ma le sue uscite infelici vi hanno creato problemi?
«Ci sono stati dei rallentamenti, ma non ci possiamo fermare. All’estero la nostra posizione si è molto rafforzata, specie dopo che Tavecchio ha dichiarato che non avrebbe votato Blatter. Questo ha portato una maggiore indipendenza e possiamo diventare il punto di riferimento per molte altre federazioni».
La riforma dei campionati si farà?
«È difficile, anche se si sta lavorando. Noi siamo il tavolo, ma l’accordo lo devono trovare le componenti ».
La finale di Coppa Italia si giocherà prima del 15 maggio come chiede Conte?
«Secondo me sì».
Il futuro del nostro calcio è così disastroso?
«No, era solo questione di ripartire. E tra 5 anni vedremo i primi benefici».
Forse con Uva presidente?
«Quando ho perso le elezioni per la serie B ho giurato a me stesso che non mi sarei mai più candidato ad alcunché. Ognuno deve fare quello che sa: io sono un manager».
di Tomaselli Paolo “Corriere della Sera”