(Martín Caparrós, sale giornalista e scrittore da L’internazionale)
All’improvviso la carne è diventata ancora più debole. Era già attaccata da diversi lati e adesso, healing all’improvviso, remedy è arrivato il colpo basso: provoca il cancro. Lo sappiamo ma cerchiamo di ignorarlo: vivere produce tumori e queste vite del ventunesimo secolo producono soprattutto paranoici, cittadini soddisfatti e annoiati che vivono solo per conservare la loro vita. Per questo si trincerano in sé stessi, perché tutto ciò che viene da fuori può essere pericoloso: fumo, sali, zuccheri, carboidrati, grassi, droghe, corpi estranei o anche noti. E adesso è il turno della carne cancerogena.
Dicono che all’inizio dei tempi fu la carne a fare gli uomini: quegli animaletti necrofagi che fummo tre milioni di anni fa svilupparono le loro menti grazie ai grassi e alle proteine che assumevano quando trovavano qualche carogna divorata a metà. Poi progredirono e impararono a uccidere. Progredirono ancora, scoprirono il fuoco e cucinarono e, lentamente, divennero uomini e donne.
Mangiavano la carne degli animali che cacciavano e i frutti che raccoglievano fino a quando, poco tempo fa, qualcuno capì che sotterrando un seme avrebbe ottenuto una pianta e il mondo cominciò a diventare un altro mondo, questo in cui viviamo: comparvero l’agricoltura, le città, i re, nuovi dèi, la ruota, i metalli, milioni di persone, le carie, le classi sociali, la ricchezza con le sue svariate ingiustizie.
Mangiarsi una bella bistecca, un gran pezzo di carne, è uno dei modi più efficaci per avallare e sfruttare un mondo ingiusto
La rivoluzione neolitica cambiò tutto, anche l’alimentazione: da allora noi umani (a eccezione, chiaramente, dei ricchi e dei famosi) mangiamo più che altro cereali, tuberi o verdure accompagnati ogni tanto da un pezzo o due di carne. Le cose sono andate avanti così per diecimila anni fino a quando, alcune decine di anni fa, le società più ricche del pianeta sono entrate nell’era della carne.
Adesso ci sembra normale, ma è stranissimo: la bistecca con le patate, le salsicce con il purè, il pollo con il riso, la proteina animale con un contorno di vegetali, è un’inversione dell’ordine storico, un profondo cambiamento culturale, e non ce ne rendiamo neanche conto. Non pensiamo neanche al significato sociale ed economico di questo gesto. Non dite a nessuno che a dirlo è un argentino: mangiarsi una bella bistecca, un gran pezzo di carne, è uno dei modi più efficaci per avallare e sfruttare un mondo ingiusto.
Consumare animali è un lusso, una forma di concentrazione della ricchezza. La carne si accaparra risorse che potrebbero essere suddivise: ci vogliono quattro calorie vegetali per produrre una caloria di pollo; sei per produrne una di maiale; dieci per produrre una caloria di vitello o di agnello. Lo stesso succede per l’acqua: ne servono 15mila litri per produrre un chilo di carne bovina.
Insomma: quando qualcuno mangia carne si appropria di risorse che, suddivise diversamente, basterebbero per cinque, otto, dieci persone. Mangiare carne significa stabilire una disuguaglianza brutale: io sono quello che può mangiarsi le risorse di cui voi avete bisogno. La carne è uno stendardo e un proclama: è possibile che io usi così il pianeta solo se miliardi di persone si rassegnano a usarlo molto meno. Se tutti volessero usarlo allo stesso modo, le cose non potrebbero funzionare: l’esclusione è una condizione necessaria, e mai sufficiente.
Sempre più persone sgomitano per sedersi al tavolo della carne: per esempio i cinesi, che vent’anni fa consumavano cinque chili di carne pro capite all’anno e ora ne consumano più di cinquanta, perché mangiare carne ci definisce come predatori di successo, trionfatori.
Segni di cedimento
Negli ultimi decenni il consumo di carne è cresciuto il doppio della popolazione mondiale. Agli inizi degli anni cinquanta il pianeta produceva cinquanta milioni di tonnellate di carne all’anno; adesso ne produce quasi sei volte di più, e nel 2030 questa cifra sarà raddoppiata. Nel frattempo, un terzo della popolazione mondiale continua a mangiare come sempre: sono miliardi di persone non assaggiano quasi mai la carne, la metà del cibo consumato ogni giorno dall’umanità è riso, un altro quarto grano e mais.
L’impero della carne comincia a dare segni di cedimento. La prima causa è stata l’imperativo della salute, quando ci hanno detto che il colesterolo ostruiva le vene. Nei quartieri più ricercati delle città ricche, sempre più donne e uomini rifiutano la carne per convinzioni varie: non vogliono mangiare cadaveri, non vogliono essere responsabili di quelle morti, non vogliono chiedere troppo ai loro corpi, non vogliono.
In questi giorni piove sul bagnato: è il turno della minaccia del cancro. Finché un giorno non arriverà l’impossibilità vera e propria: saranno così tanti a voler mangiare la loro libbra di carne che il pianeta, esaurito, dirà basta.
Ci vorrà del tempo: il commercio mondiale degli alimenti è organizzato per concentrare le risorse a beneficio di pochi, gli interessi forti si barricheranno. Ma un giorno, tra decenni, forse tra un secolo, gli storici guarderanno al passato e parleranno di questi tempi – un lasso breve, un sospiro nella storia – come dell’era della carne. Che a quel punto sarà finita per sempre.
(Traduzione di Francesca Rossetti)