(di GIOVANNI PONS, sale Repubblica) “C’è un’atmosfera favorevole”, dice l’ad del gruppo del lusso che grazie al Jobs act ha ripreso le assunzioni. “La crisi dei Paesi emergenti, a partire da Russia e Cina, non ci spaventa”
Dottor Bertelli, partiamo dall’Italia. È vero che si respira aria di ripresa nel mondo delle imprese?
“Tra gli imprenditori si sta ricreando uno stato d’animo positivo, c’è più ottimismo rispetto a qualche tempo fa. Ci si è lasciati alle spalle il disagio dello spread a 500, il governo Renzi ha dato una scossa positiva all’economia e nel nostro settore ciò ha contribuito a rifocalizzarci di più sull’Italia e a puntare di più sul know how italiano”.
Tuttavia la disoccupazione rimane a livelli molto elevati.
“Sì, ma allo stesso tempo vedo tanti giovani che si stanno muovendo, approcciando l’idea di fare impresa in maniera positiva. Non solo nella moda ma in tutti gli ambiti, dalla ristorazione alla tecnologia. E i dati sull’aumento dei prestiti e dei mutui per le attività commerciali confermano questa tendenza”.
La riforma del lavoro varata con il Jobs act secondo lei ha contribuito a creare nuova occupazione?
“Dopo circa un anno dall’introduzione del Jobs act si può senz’altro dire che la filiera delle piccole e medie imprese che operano nell’ambito del settore moda, pelletteria, calzature ha registrato benefici notevoli grazie alla riforma perché ha permesso di rinnovare la forza lavoro operai e anche di trasferire il know how industriale a una nuova generazione di giovani”.
Perlopiù si è trattato di conversione di contratti da tempo determinato a indeterminato?
“Sì, questa modalità ha riguardato il 43% delle assunzioni a livello nazionale, il 60% nel settore moda e per il gruppo Prada il 75%, che nel 2014-15 ha assunto 375 lavoratori specializzati a tempo indeterminato con uno stipendio medio del 30% superiore a quello di altri settori”.
Quali altri benefici vi sono per l’imprenditore?
“Ora c’è più sicurezza per l’imprenditore sui costi del lavoro che si devono affrontare. In precedenza, l’impresa assumendo un dipendente a 25mila euro all’anno sapeva per certo che andava incontro a una spesa di circa 750mila euro, dato che si doveva stimare il lavoratore in attività per almeno 25 anni qualunque fossero le sue attitudini e le sue performance”.
Questo clima di maggiore sicurezza ha contribuito anche a riportare alcune produzioni in Italia che negli anni scorsi erano state delocalizzate?
“Sì, certamente, noi abbiamo agito in questo senso e ora abbiamo l’83% della produzione del gruppo Prada realizzata in Italia. All’estero manteniamo soltanto alcune produzioni molto specializzate e molto tecniche, come per esempio i ricami”.
Gli investimenti sui vostri marchi sono aumentati?
“Abbiamo incrementato gli investimenti di carattere industriale sia nell’abbigliamento uomo e donna, sia nella pelletteria e nelle calzature. In particolare l’investimento sulle calzature donna di Church’s sta dando buoni frutti”.
Condivide anche la decisione del governo Renzi di alzare il tetto all’uso del contante da 1000 a 3000 euro? Non rischia di diventare un incentivo all’evasione?
“Condivido l’opinione del ministro Padoan che ha affermato che ‘non esiste correlazione tra il livello del limite sul contante e l’estensione dell’economia sommersa’. Faccio notare che in Europa solo Italia e Portogallo hanno un limite di 1000 euro e la Grecia di 1500 e c’è un tetto di 3mila euro in Francia e Belgio, mentre non c’è alcun vincolo per paesi come Regno Unito, Germania, Paesi Bassi, Svezia, Austria e tutti gli altri. Credo che bisogna rendere obbligatorio l’uso dei Pos nelle attività commerciali ma allo stesso tempo non si deve presumere automaticamente la disonestà da parte dei cittadini, penso che ci siano tanti cittadini che pagano regolarmente le tasse, sicuramente tutti i nostri dipendenti”.
I grandi marchi della moda nell’ultimo anno hanno sofferto di un calo della domanda da parte di grandi paesi importatori come Cina e Russia. Prada come si è comportata in questa difficile fase?
“Per quanto riguarda la Russia tutto il mondo della moda ma anche altri settori hanno registrato un calo delle esportazioni verso il paese guidato da Putin. Poi hanno inciso le sanzioni da parte della UE per la vicenda Ucraina e il calo del prezzo del petrolio e del gas che ha abbassato il potere d’acquisto dei paesi esportatori di greggio. La Cina invece, ha svalutato lo yuan per favorire i consumi interni. Tutto ciò ha comportato e sta comportando un enorme sforzo, per aziende globali come Prada, per rimodulare le posizioni nei vari mercati”.
Cosa state facendo nello specifico?
“Stiamo cercando di ridurre drasticamente le differenze nei prezzi dei nostri prodotti nei diversi paesi. In Europa rispetto al Far East lo spread è stato normalizzato e in questo modo abbassiamo la convenienza ad andare a comprare in un altro paese perché esiste un vantaggio di prezzo e di cambio. In questi ultimi anni si è sviluppato un turismo da shopping molto difficile da gestire per le case di moda”.
Dunque meno investimenti in nuovi negozi e più produttività?
“Stiamo cercando di canalizzare i consumatori nei paesi dove abbiamo investito in termini di nuovi negozi, per consolidare le posizioni e far crescere la produttività e redditività. In Russia non abbiamo avuto problemi in quanto distributori diretti mentre in Cina vi è stata una riduzione oggettiva dei consumi. L’obbiettivo di Prada è quello di riportare l’Ebit (l’utile prima delle tasse, ndr.) sopra il 23% mantenendo inalterati i dividendi”.
Sempre convinti della scelta di quotazione alla Borsa di Hong Kong? “Sempre, lì ci sono investitori seri e di lungo periodo e vige la disciplina dell’Ebit e non dell’Ebitda. Vengono premiati i titoli che hanno la maggiore redditività prima delle tasse”.
Perché diversi marchi italiani del lusso non riescono a rimanere italiani e vengono fagocitati da gruppi esteri o comprati da fondi private equity?
“Perché sono molto bravi sotto il profilo creativo ma a volte non riescono a coniugare il talento con i processi e l’organizzazione. Per avere successo occorrono entrambe le capacità e chi non riesce a gestire i processi in modo integrato finisce per essere fagocitato da gruppi più grandi e organizzati”.
La rivalità con Louis Vuitton ha portato al confronto anche nel settore del food. Loro hanno comprato la pasticceria Cova e voi Marchesi. C’è una strategia ben precisa in questa diversificazione?
“La nostra strategia è di valorizzare il marchio Prada facendo attività che ci piacciono e sentiamo di poter fare in modo professionale. La Fondazione Prada ne è un esempio, nel palazzo in Galleria a Milano, come da accordi, sarà realizzato uno spazio per la Fondazione”.
Trova Milano attraente e vitale per gli investitori esteri? Chi vorrebbe come prossimo sindaco?
“L’Expo è stato gestito benissimo, così come l’area della Darsena, la gente è tornata a riversarsi nelle strade. C’è una grande vitalità anche sotto il profilo culturale e il fenomeno dei migranti lo considero una risorsa per il paese e non un problema. Per me un candidato ideale Milano del potrebbe essere Beppe Sala”.