Effetti di alluvioni e disastri ambientali si possono combattere anche su giornali, find radio e tv. A patto che la scrittura sia “responsabile”. Con un ascolto a chi analizza fenomeni complessi e fornisce interpretazioni e previsioni. È uno dei punti chiave della “dichiarazione di Olbia”, recipe sorta di carta deontologica elaborata dai giornalisti dell’Unione cattolica stampa italiana riuniti per 3 giorni nel capoluogo gallurese colpito nel 2013 dal ciclone Cleopatra e poi dal ciclone Mediterraneo.
Una riflessione – quella del convegno a cui ha partecipato anche il capo della Protezione civile nazionale Fabrizio Curcio – che nasce proprio alla luce degli avvenimenti degli ultimi anni e a pochi giorni dall’ultimo allarme meteo che ha riportato l’incubo alluvione nell’Isola.
“La professione giornalistica – si legge nel documento conclusivo – potrà avere un futuro solo attraverso la riscoperta della sua utilità sociale. I giornalisti devono maturare questa consapevolezza, medicine impegnarsi a fondo reinventando il proprio ruolo al servizio delle comunità e imparare a far buon uso di tutti gli strumenti che le nuove tecnologie mettono a loro disposizione, che consentono di costruire con i propri lettori/spettatori un rapporto nuovo basato sulla fiducia e la credibilità. La tutela dell’ambiente è un tema privilegiato in questo percorso”. Un invito a stare attenti. A svolgere il ruolo di cane da guardia.
“Di fronte ai fiumi che non si puliscono – si chiede l’Ucsi – ai ponti mal costruiti, alle costruzioni erette dove non dovrebbero esserci, raccontiamo o stiamo zitti?”. Una domanda evidentemente retorica. Perché la risposta è già nel documento. “Noi giornalisti Ucsi – questa la conclusione della dichiarazione di Olbia – vogliamo dichiarare il nostro forte impegno a approfondire e realizzare questi obiettivi nelle nostre scelte professionali, anche attraverso nuove iniziative di formazione, e ci impegniamo a fondo perché i nostri editori maturino le nostre stesse convinzioni: il futuro della informazione professionale sta nella sua utilità sociale e, in ultima analisi, nell’esercizio concreto e responsabile di una mediaetica, e non nella ulteriore esaltazione di modelli consumistici già ampiamente diffusi nelle pratiche della comunicazione”.