L’INTERESSE DELLE BANCHE
Proprio l’Abi si è espressa a favore di un allargamento della cosiddetta opzione donna, la possibilità prevista per le lavoratrici di andare in pensione prima con un assegno più basso. Le ipotesi circolate in questi giorni comprendono un’uscita a partire dai 63 anni di età, invece dei 66-67 anni che saranno la soglia della vecchiaia nei prossimi anni: una soluzione che le potenziali interessate esamineranno alla luce del sacrificio economico richiesto. Come emerge dalle simulazioni riportate in questa pagina ed elaborate da Progetica, società indipendente di consulenza in educazione e pianificazione finanziaria, la riduzione dell’assegno sarebbe doppia: a quella derivante dal solo anticipo dell’uscita, che produce di per sé una pensione più bassa a causa dei minori versamenti contributivi, si aggiungerebbe l’eventuale penalizzazione necessaria per compensare nel medio-lungo periodo i maggiori esborsi a carico del bilancio dello Stato, dovuti alla maggiore spesa ed ai minori contributi incassati: quest’ultima da sola si aggira intorno al 10 per cento, ma la percentuale complessiva è più o meno doppia. Così ad esempio una dipendente con una possibile pensione piena di 1.730 euro netti mensili lasciando a 63 anni dovrebbe accontentarsi di 1.361, importo più basso dell’11 per cento di quello (1.527 euro) che sarebbe percepito alla stessa età senza una penalizzazione esplicita. Uno schema simile potrebbe essere applicato anche ai lavoratori uomini in difficoltà, per i quali sono comunque allo studio anche strumenti diversi, con costi più contenuti: una nuova salvaguardia ed il cosiddetto prestito pensionistico.
Pensioni anticipate, ecco le simulazioni. E il governo stringe sulla platea.
(IlMessaggero)