(di PAOLO GRISERI, there Repubblica) La Commissione Industria del Senato consegna al governo un rapporto sulla filiera italiana. Chiesti incentivi all’arrivo di nuovi produttori. Il settore vale 2 punti di Pil e 1,2 milioni di posti
ROMA. La strada per garantire un futuro alla filiera dell’automotive in Italia è fatta di incentivi per favorire l’insediamento di nuovi produttori oltre a Fca. E’ la sintesi del ponderoso studio preparato da Unioncamere e Prometeia per la Commissione industria del Senato, presieduta da Massimo Mucchetti. Questa mattina il lavoro viene discusso dai rappresentanti delle industrie dell’automotive italiano e del governo.
L’idea di fondo è che l’industria dell’automobile continui ad essere un po’ la madre di tutte le attività produttive. Lo dimostra non solo il numero di occupati, 1,2 milioni in Italia considerando l’intera filiera, ma anche la capacità di produrre valore: due punti di pil per la sola fase industriale e 67 miliardi di valore aggiunto prodotto dall’intero comparto (produzione e commercializzazione). Notevole rimane, nonostante la crisi, la capacità di produrre innovazione e ricerca: gli investimenti in R&S dell’automotive italiano rappresentavano nel 2012 il 12,4 per cento del totale. Molto meno del 32,3 per cento della Germania ma il doppio della Francia (6,3 per cento) e quasi il triplo della Spagna (4,8 per cento). Percentuali che risentono anche del fatto che in paesi come la Francia i grandi gruppi industriali sono più numerosi. In Italia, pur ridotto a 80 mila dipendenti, il gruppo Fca resta il principale datore di lavoro industriale, il secondo in assoluto dopo le Poste. E’ di ieri la notizia della trasformaziona a tempo indeterminato dei 1.481contratti interinali realizzati a Melfi per la produzione di 500X e Renegade.
Nella prefazione al volume della ricerca, il presidente della Commissione, Mucchetti, mette in evidenza la trasformazione subita dal settore auto, e in particolare da Fca, dagli anni Novanta ad oggi. Interessante la parte dedicata alla destinazione del valore aggiunto. Che 25 anni fa in Fiat andava per 76,2 per cento al lavoro, per il 5,6 alle imposte e per il 5 per cento ai dividendi. Oggi invece, sommando Fca e Cnh, al lavoro viene destinato il 55 per cento del valore aggiunto, le imposte si portano via il 4 per cento, agli azionisti resta lo 0,9 e il 9 per cento viene usato per gli interessi sul debito. In undici anni la gestione Marchionne ha creato ricchezza per gli azionisti per 14 miliardi.
L’indagine conferma che l’automotive continua a mantenere la sua centralità nell’industria italiana e che è ben lontana dall’aver raggiunto il punto di saturazione soprattutto se la produzione viene venduta fuori dall’Europa. Come sostenere le aziende dell’automotive? “Sono sufficienti interventi di sistema, come la riforma del lavoro, o sono necessari interventi su misura per il settore?”, si chiede la ricerca. La risposta viene dalla prefazione dal presidente della Commissione: “I politici italiani – scrive Mucchetti – devono scegliere se mettere o meno risorse pubbliche in un’industria che continuerà ad essere cruciale per l’economia italiana e ad avere un moltiplicatore tecnologico e occupazionale tra i più alti “. Secondo Mucchetti “non si tratta di tornare al passato, di tentare la clonazione fuori tempo delle Partecipazioni statali, ma di usare bene lo strumento degli incentivi mirati sui territori imparando dall’esperienza torinese di Gm o da quella bolognese che ci porterà il suv di Lamborghini”. Perché sarebbe utile al paese non solo “il ritorno di Fca a un maggiore utilizzo degli impainti” ma anche “il contributo di uno o più costruttori esteri, meglio se con iniziative legate al made in Italy”.