Nei soffitti dello scalo più importante del Paese c’è una giungla di cavi fuori norma. Che hanno contribuito alle fiamme. Mentre il terminal è privo di spegnitori automatici
di Giovanni Tizian L’Espresso
Dopo quaranta giorni il più importante aeroporto d’Italia è ancora ferito. Per un rogo che continua ad apparire incredibile. Un intero terminal in preda alle fiamme, drugstore in quello che dovrebbe essere il luogo più sicuro del Paese. L’attività dello scalo rimane ridotta all’80 per cento, unhealthy con 16 gate sotto sequestro, healing mentre le indagini stanno cercando di squarciare il muro di fumo che protegge le responsabilità sull’origine dell’incendio e sui ritardi nello spegnimento. E una fonte, che ha chiesto l’anonimato, svela a “l’Espresso” come l’apparente normalità delle strutture nasconda un lato oscuro, che potrebbe aver contribuito alla propagazione delle fiamme.
Fiumicino è un po’ come Cinecittà: i corridoi visibili al pubblico sono impeccabili, lustrati per le grandi occasioni, ma sollevato il sipario del set «c’è una parte nascosta, popolata dagli addetti ai lavori dove regna il disordine», racconta la fonte interna. Proprio come negli studios del cinema italiano, gli spettatori vedono solo la superficie ordinata e patinata, ma dietro i teloni delle scenografie c’è il caos. È sufficiente sollevare un pannello del controsoffitto dell’area di imbarco dei voli internazionali, a pochi metri dal luogo dell’incendio, per rendersi conto dell’incuria.
Le foto mostrano lo spazio tra il tetto e i pannelli zeppo di fili, lampade, rilevatori di fumo avvolti dal nastro adesivo. Dovrebbe essere vuoto, per non offrire combustibile al fuoco, invece sembra un groviglio di inneschi. Secondo la fonte «è materiale lasciato lì da chi ha fatto i lavori di manutenzione e che in caso di combustione agevolerebbe la propagazione delle fiamme». Le fotografie ritraggono la giungla di cavi e plastica ammassata nel controsoffito.
Un lavoratore che quella notte si trovava all’interno, anche lui con la garanzia dell’anonimato, ha deciso di raccontare la grande confusione dell’emergenza: «Nessuno sapeva bene cosa fare e i soccorsi erano in ritardo. Ho l’impressione che i primi segnali di fumo siano stati sottovalutati».
Eppure in ogni struttura affollata, dai centri commerciali alle stazioni ferroviarie, dovrebbero essere le squadre di emergenza create per il primo intervento a prendere in mano la situazione. Il giovane, testimone diretto, aggiunge: «Non è scattato nessun sistema antincendio e in quei momenti concitati ho aiutato uno dei poliziotti presenti a togliere la sicura dall’estintore a polvere». In effetti le foto e i sopralluoghi mostrano l’assenza degli sprinkler, i tubi in acciaio, simili a piccole docce, dai quali partono gli spruzzi d’acqua per lo spegnimento. Testimone, immagini e, infine, anche la fonte interna, confermano: gli sprinkler non ci sono. Sono stati resi obbligatori dalla legge 151 del 2011 (e dalle regole tecniche derivate) ma la norma entrerà in vigore solo a ottobre 2016, cinque anni dopo: è stata più volte prorogata, come se non fosse fondamentale per evitare devastazioni drammatiche.
Secondo i conti effettuati da “l’Espresso” l’installazione dell’impianto (calcolato sul costo a metro quadro in altre strutture civili simili) solo nel terminal 3 costerebbe al massimo 5 milioni di euro. Una cifra più che sostenibile e che avrebbe garantito un’arma in più contro le fiamme del 7 maggio, che hanno provocato danni colossali. Il fuoco ha divorato i punti vendita di Ferrari, Bulgari, Geox, Unieuro, Ferragamo, McDonald, Chanel, Burberry, Moncler, Gucci. E ancora bar e ristoranti. Una quarantina le attività commerciali coinvolte. Centinaia i posti di lavoro a rischio. Solo Alitalia – stando alle stime dell’amministratore delegato, Silvano Cassano – ha perso decine di milioni.
Il rogo è divampato nella rotte al terminale T3 – arrivi e partenze internazionali. (immagini da Youtube/Dmitry Pomsoni)
Secondo i primi accertamenti, le fiamme sono partite da un condizionatore portatile. I dipendenti di un’impresa appaltatrice l’avevano attivato nei giorni precedenti il rogo per cercare di ovviare al surriscaldamento di un quadro elettrico in una zona di cantiere. Soluzione a dir poco precaria. Il “pinguino” fin da subito aveva dato segni di instabilità: si spegneva in continuazione e aveva provocato problemi anche al bar nelle vicinanze disturbando il flusso di corrente elettrica. C’erano, insomma, elementi sufficienti per staccare la spina al condizionatore, ma nessuno l’ha fatto. E la magistratura dovrà dare una risposta chiave: come è stato possibile che questa apparecchiatura non sia stata segnalata? Le norme impongono una rigida procedura: tutto ciò che le ditte portano dentro deve superare verifiche accurate e poi dovrebbe essere riportato all’esterno. E se nessuno ha notato un “pinguino”, il rischio che dai cantieri possano arrivare altri pericoli è concreto. Anche perché i controllori sono pochi e sono tante le imprese che, vinto l’appalto con il massimo ribasso, tendono a contenere i costi, risparmiando anche sulla sicurezza.
Gli ingegneri dipendenti della controllata Adr Engineering, che tra i compiti principali ha proprio la vigilanza sui lavori all’interno dello scalo, sono cinque. «Un numero esiguo per controllare le 50 aziende che operano all’interno», osserva la nostra fonte, che spiega anche le procedure delle verifiche:«Avvengono di notte perché le imprese lavorano in quelle ore. Così capita che dopo i turni notturni, a questi professionisti tocchi anche rientrare di mattina in ufficio. Basterebbe assumere qualche giovane ingegnere, ce ne sono tanti in giro, per garantire verifiche più adeguate». Questioni che “l’Espresso” ha sottoposto alla società Adr, ricevendo però una risposta stringata: «Attendiamo l’esito del parere della magistratura».
Al momento la procura di Civitavecchia ha iscritto sette persone nel registro degli indagati. Sono i cinque operai della ditta alla quale era affidata la manutenzione degli impianti di condizionamento dell’aeroporto, un funzionario dell’Asl Roma D che non sarebbe intervenuto, a tutela dei lavoratori, e, infine, l’amministratore delegato di Aeroporti di Roma, Lorenzo Lo Presti per violazione della normativa sulla sicurezza dei lavoratori.
«L’aeroporto di Fiumicino è tra i più sicuri al mondo», non ha dubbi il dirigente della Polizia aeroportuale Antonio Del Greco, che precisa: «I miei uomini sono preparati per eventuali attacchi terroristici e abbiamo già predisposto nuovi piani di prevenzione». Appunto. Gli speti della Polaria, sono addestrati soprattutto per quel che riguarda il contrasto al terrore, mentre è bastato un gruppo di operai pasticcioni per piegare la fortezza Fiumicino.