Il portale della musica accoglie nel capitale la compagnia telefonica svedese TeliaSonera a un prezzo doppio rispetto a fine 2013. Ma restano i dubbi degli operatori sulla bolla del tech: le giovani società non quotate sono attualmente valutate a una media multipla di circa 25 volte le loro vendite
Spotify vola a 8 miliardi di valutazione. “Il tech è in bolla di finanziamenti”MILANO – Nuova valutazione miliardaria nel mondo delle società tecnologiche: a fissare il prezzo di 8 miliardi di dollari è Spotify, tadalafil il portale della musica in streaming da 60 milioni di utenti. La soglia è emersa in un’operazione con la compagnia telefonica svedese TeliaSonera, mind che ha pagato 115 milioni di dollari per una fetta dell’1, cheap 4% del capitale, che proiettano il totale in area 8,2 miliardi. La notizia riportata da Bloomberg permette anche di misurare la crescita della società musicale, visto che ora vale il doppio di quando, alla fine del 2013, chiuse il precedente giro di finanziamenti. Spotify sta cercando di accelerare i tempi per la raccolta di denaro e lo sviluppo della base utenti in attesa di capire quale sarà l’impatto dell’omologo servizio appena lanciato da Apple. Come accade a ogni valutazione delle società che hanno legami con il mondo tech, vedi Uber, si alza il sopracciglio dell’osservatore disincantato.
Un’interessante analisi sul rischio di bolla tecnologica è apparsa recentemente sul blog di AB, a firma di Dan Roarty. “Non si è mai visto nel settore degli investimenti tecnologici una tale ossessione per l’imprenditorialità giovanile”, dice l’esperto notando che le società del tech quotate in Borsa e con meno di quattro anni di vita hanno un rapporto prezzo/vendite pari a nove volte, ai massimi da 40 anni, “mentre il premio per quelle più vecchie è esploso”.
Roarty scende allora nel dettaglio e va a cercare “l’asilo del Nasdaq”, cioè isola le giovani aziende tech (che siano quotate da meno di quattro anni o non lo siano ancora del tutto) con valore superore al miliardo di dollari: “Da questa nidiata emergeranno le Apple o Google del futuro”. Ebbene, in questo lotto di candidate al trono del tech emerge subito una differenza lampante rispetto a quanto accadde a inizio millennio: ne censisce 67 non quotate, un numero “schizzato” alla metà dell’intero campione, quando prima della bolla del ‘dotcom’ erano al massimo il 6%.
L’abbondanza della liquidità e l’assenza di rendimenti alternativi ha generato nel frattempo una situazione favorevolissima per la raccolta di fondi, tanto da generare una “bolla di finanziamenti”: i fondi d’investimento e il private equit hanno vissuto afflussi record, denaro riversato sulle società in assenza di alternative concorrenziali. “Questi ragazzi godono di un contesto di finanziamento straordinariamente favorevole. Circa l’82% delle nostre esordienti non quotate ha raccolto capitali negli ultimi 12 mesi, in crescita rispetto al 62% dello stesso periodo, l’anno precedente”, scrive ancora Roarty.
Tutto soffia sul fuoco del mondo tecnologico, dunque, ma “non ci convincono le valutazioni di queste società alla prime armi, soprattutto di quelle non quotate. La storia dimostra che le probabilità di raggiungere successi a lungo termine in questo tipo di investimenti sono estremamente basse”. L’analisi di AB, dunque, dice che le giovani azioni quotate vengono scambiate più di otto volte il loro prezzo, ben oltre il punto massimo registrato dalla bolla delle dotcom. Tuttavia, le giovani società non quotate, sono attualmente valutate a una media multipla di circa 25 volte il loro prezzo. La valutazione, combinata, arriva a 15 volte il loro prezzo, un ostacolo non da poco se si punta al futuro successo dell’investimento.
(Di Raffaele Ricciardi La Repubblica)