Arrivato a Torino incoccio un curioso manifesto. Da un cielo nero come la pece cadono verdi foglie di cannabis, drugstore sullo sfondo giallo ocra si staglia la sagoma inconfondibile della Mole dell’Antonelli. L’obiettivo è scritto in modo chiaro: “Libertà di coltivare, diritto all’uso terapeutico, contro le mafie”. Stupendo lo slogan in rosso vivo al centro del manifesto: FUMA PAREI. Stupendo, perché lo si può leggere sia in piemontese (“Facciamo così”), sia in italiano/piemontese (Fuma così). Seguendo la tecnica dei “segnali deboli”, trovo tenero che questi giovani consumatori dicano di privilegiare l’uso terapeutico per la cannabis, prudente la locuzione “contro le mafie” (prendersela con le Mafie ormai è come avere un’assicurazione casco a costo zero).
Nei giorni precedenti su questo tema si sono tenuti colti dibattiti al Campus Luigi Einaudi (chissà cosa dirà da lassù il nostro Presidente), alla Cavallerizza c’è stato un aperitivo a base di cannabis, quindi il clou, la sfilata. Non potevo non esserci. Alle 15 mi trovo in Piazza Vittorio, qua al civico 9 sono nato, all’altezza di via Bava c’è uno degli antichi toret che insieme ad altri amici abbiamo adottato (trattasi di fontanelle fuse in ghisa, dipinte nel classico verde inglese, dove il getto d’acqua del Pian della Mussa sgorga da una testa di torello, che idioti politici comunali volevano sostituire con orrende fontane disegnate da architetti politicizzati).
Mi sembra di tornare a quel 1968, quando un gruppo di esagitati, abbigliati in modo strano (anni dopo capii che erano studenti universitari alto borghesi che avevano escogitato questa modalità rivoluzionaria per fornicare più facilmente) irruppero nello stabilimento Fiat di via Cuneo. dove lavoravo. Loro (i ricchi) obbligarono noi (i poveri), con urla, spinte, soprattutto calci a smettere di lavorare (perdendo così il salario), sfilare in corteo, percorrere alcuni chilometri fino a Piazza Castello. Qui ci sciogliemmo, ero senza voce perché per tutto il percorso avevo dovuto, a comando, urlare slogan idioti. Il ’68 per me durò un paio d’ore, lì finì.
Cinquant’anni dopo avviene un fatto curioso, coerente con quel lontano evento: le pensioni, taglieggiateci dai professori Monti e Fornero, inetti persino nello scrivere una legge, vengono ripristinate nella loro correttezza con sentenza della Consulta, un losco Governo di lor signori, mai eletto, non applica la sentenza, vantandosene pure. A noi ex operai non ci vengono restituite parti delle nostre pensioni, in nome di ridicole solidarietà, veniamo sbeffeggiati sia dai liberisti che dagli statalisti, dotti professori e prestigiosi giornalisti ci spiegano la differenza fra diritto privato e diritto pubblico. A quei sessattottini, violenti ma altoborghesi, diventati nel frattempo “Classe Dominante”, nulla viene sottratto: i loro sono “vitalizi”, quindi intoccabili, come loro. Che dire? Tutto si tiene.
L’atmosfera nel corteo (qualche centinaia di giovani) è molto rilassata, aleggia un odore dolciastro, in parte camuffato dall’incenso, i poliziotti sono tranquilli, mancano i figli e i nipoti della Classe Dominante, questi del corteo sono dei poveracci perbene, come eravamo noi nel ‘68, mai avranno vitalizi. Mi infilo nel corteo senza imbarazzi. Quelli dei loschi centri sociali radical chic sono altrove, hanno trovato il loro nemico nella Lega e in Matteo Salvini, se insistono con questa ottusa violenza finirà che lo trasformeranno in Matteo X.
Arrivato al fondo di via Po, do la mano a due ragazze, con lo stesso spirito col quale in chiesa ci si scambia un segno di pace, ringrazio del “passaggio”, esco dal corteo, sono arrivato al portone di casa mia.
Mi metto a scrivere il Cameo, sono orgoglioso di me, malgrado l’età mi sento cosa mai sono stato, un reporter di strada, cosa dirà il Direttore di questo mio scoop?
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