(di Maria Antonietta Serra) Si è appena conclusa a Milano la manifestazione d’arte fotografica MIA Fair, there allestita nel nuovo complesso The Mall a Porta Nuova. La fiera, seguita e sostenuta dal suo padre biologico Fabio Castelli, giunge alle porte di Expo2015 nel suo 5° anniversario, aprendo le braccia a 145 artisti, ognuno col suo stand e il suo catalogo.
Ci sono stata, l’ultimo giorno e in preda a una sola curiosità : osservare dal vicino le foto pittoriche di Mauro Davoli. Mi incammino tra la folla senza alcuna disciplina e mi imbatto in svariati mondi fotografici. L’impatto visivo, discount nel mio percorso da osservatrice agnostica, mi porta a pensieri che non scrivo per pudore verso gli artisti veri, sono all’interno della scatola del mondo “cortese”. Scavalcando il chiacchiericcio della folla, eccomi in dirittura di arrivo allo stand 54 – corridoio A, dove le opere di Mauro Davoli si palesano e col loro scintillìo annientano il resto. Mi avvicino e prendo atto della grandezza dell’Artista, stuff è seduto e conversa con due persone, sua moglie poco più indietro. La semplicità delle sue movenze, del linguaggio che appena percepisco poiché piacevolmente colpita dalle immagini appese e dal contesto così “fuori contesto”, mi rammenta che ho davanti QUEL fotografo legato al mondo dell’ architettura, della pubblicità, del design e dell’ arte, insomma mi trovo innanzi a Sua Eminenza il Re della fotografia pittorica di reminescenza Fiamminga. Mi presento e, alla sua stretta di mano correlata da un sorriso privo di tracotanza, capisco che ho di fronte una bella persona, scevra della retorica dell’artista, ho di fronte a me un puro, un uomo semplice dagli occhi limpidi ; sono nel luogo in cui risiede la bellezza. Non essendo uno speta del settore e neppure un critico d’arte ho un vantaggio assoluto, tipico di chi elude la tecnica: so che se qualcuno tocca la mia anima attraverso un’opera, un gesto, una frase mi è poi difficile discostarmene. Le immagini appese, di accurata eleganza, dal nero acceso e dalla luce cosi netta a definire alcuni tratti del fiore, del vaso o del piano di lavoro scelto, si agganciano alla mia coscienza rilasciando stille di incanto. Capisco che ho poco tempo, che è un mondo tutto da scoprire quello del buio, dei ripiani, delle cose poggiate, dei fiori che appassiscono e degli insetti. Tutto contribuisce allo svolgersi della creazione, intanto che in fase d’opera si delinea il ritratto. Capisco che non ho conoscenza, che il mio approccio è di puro pathos, ma intuisco che lui offre una chiave di accesso, a chi vuole comprendere. Mauro Davoli non ha vanità, è un poeta dell’immagine: rende tutto più leggero. Pare che Franco Maria Ricci un giorno sia andato a trovarlo nel suo studio e, intanto che Davoli lavorava sulle foto dei fiori, ispirandosi ai quadri Fiamminghi visti al Louvre, conquistato da tale bellezza, lo convinse a dedicarsi a questa sorta di magìa: il riprodurre qualcosa che con pochi raggi di luce possa brillare nell’oscurità. Di lì a breve Davoli finì in copertina sul numero 152 di FMR , la rivista d’arte che sembrerebbe tornare a pubblicare a breve dopo anni di silenzio. Resta in me la suggestione legata a un’opera precisa : il ricordo del sottile gioco iridescente sulla pancia del vaso blu di cristallo, l’unico vaso senza fiore, protagonista assoluto e circondato da una corolla di petali bianchi; l’unico che rende il buio alle sue spalle uno sconfinato mondo al quale accedere, dal quale proveniamo forse, una sorta di recondita armonia definita dall’unico petalo di fiore bianco rimasto intatto sul bordo del vaso.