Il momento del pasto “è un’esperienza non solo alimentare che aumenta gli scambi relazionali e la circolazione di idee”. Ne è convinto Michiel Bakker responsabile del Google Food Program che ogni giorno “sfama” 70mila dipendenti di Big G. Ma l’impressione è che l’azienda di Mountain View possa estendere la sua filosofia culinaria fino a farla arrivare sulle nostre tavole
(di GERALDINE SCHWARZ, clinic Repubblica)
COME MANGIANO i creativi? Dimenticate i pranzi arruffati con il panino davanti al computer. O i lunchbox portati da casa con quelle “verdurine” alle quali non potete proprio rinunciare. Quelli che sfornano innovazione per professione, i dipendenti di Google per intenderci, mangiano pasti leggeri diverse volte al giorno, hanno un’offerta quasi illimitata e free ai differenti punti di accesso al cibo e sanno quel che mangiano. Nel senso che tutti i cibi disponibili negli snack point firmati bigG nei campus ormai in tutto il mondo, hanno delle etichette colorate che evidenziano la priorità con la quale assumere i prodotti alimentari. Quelli con l’etichetta rossa sono quasi bannati, da mangiare solo una volta o raramente, in piatti piccoli, i verdi si possono mangiare sempre e a volontà nei piatti grandi e quelli gialli si possono assumere più volte, ma con moderazione. Insomma, per i creativi, dipendenti di una delle maggiori aziende innovative del pianeta, il pranzo è una cosa seria. Parola di Mr Google Food, Michiel Bakker, olandese, oggi sposato con un’americana, che a Roma ha concluso il suo tour italiano di Reinvent Food, organizzato da Talent Garden che sta cercando di creare una community dell’innovazione proprio sul tema cibo. Una puntatina italiana e veloce, quella di Mr Bakker, ex manager Starwoods che da tre anni, con il suo staff di 350 dipendenti che si occupano di management del food in differenti paesi sfama circa 70mila persone che lavorano nei campus di BigG, ma forse non casuale visto il tema Expo 2015 imminente e la voglia di Google di entrarci anche nel piatto. “Il Google Food Program”, ha spiegato Bakker alla guida del settore, “è stata sempre una priorità per l’azienda da quando è nato Google nel 1999. Larry e Sergey hanno pensato a un’azienda che fosse come una famiglia e prima di assumere un responsabile delle risorse umane hanno assunto un cuoco. Il benessere dei dipendenti per noi è sinonimo di successo perché quando le persone che lavorano per noi mangiano bene, sono in salute e felici rendono sicuramente il massimo del loro potenziale. E si risparmia anche in spesa sociale. Inoltre, mangiare insieme al proprio team e incontrare gli altri in ambienti piacevoli con la musica in sottofondo è un’esperienza non solo alimentare che aumenta gli scambi relazionali e la circolazione delle idee. Gmail ad esempio è nata in conversazioni informali mentre alcuni dipendenti erano in fila al buffet”.
E c’è anche chi ne ha fatto un business del Google Food. Uno degli ex cuochi delle caffetterie di Mountain View, Nate Keller, ha creato una startup, Sprig, che consegna a domicilio alcuni menu con le ricette più amate dai googlers. Ambienti accoglienti, colorati, studiati nel design dove c’è spesso la musica, e dove i cibi oggi non più a buffet, vengono serviti come in famiglia con una grande piatto centrale dal quale tutti si servono. E ci sono anche corsi di cucina. Quando le cucine chiudono infatti, i dipendenti, spesso studenti appena laureati che hanno le famiglie lontano e non hanno mai imparato a cucinare, possono fare corsi di cucina nelle cafeterias che si trasformano in officine dove imparare. E i cuochi di Google, supportati dagli insegnamenti del Culinary Institute of America (una specie di alberghiero per cuochi), insegnano ricette a base prevalentemente di verdure, frutta e cibi dei quali si conosce la provenienza. “Il nostro obiettivo”, ha spiegato Bakker, “è quello di rendere le verdure deliziose e fare delle ricette che non abbiano nulla da invidiare a quelle a base di carne e pesce che pure continuano a essere presenti nei pranzi che serviamo. Perché la nostra mission non è solo di sfamare i dipendenti e renderli creativi, ma cerchiamo di creare nuovi consumatori, più consapevoli e più attenti anche al cibo che mangiano, al riciclo e alla sostenibilità ambientale. Sarebbe interessante cercare di creare dei regimi alimentari personalizzati, creati ad hoc sul nostro Dna, secondo il gruppo sanguigno e le esigenze e caratteristiche diverse per ognuno di noi e credo che con i nuovi device sempre più precisi che continuano a uscire sul mercato prima o poi riusciremo a creare dei menu sani, consapevoli e personalizzati”. Insomma, dopo aver cambiato il nostro stile di vita con l’accesso alle informazioni sul motore di ricerca e con la mail e con tutte le altre cose, l’impressione è che bigG stia per entrare nella nostra dieta.