Continuano a scendere le quotazioni del petrolio sui mercati asiatici, in attesa che l’Opec lasci invariati gli attuali livelli di produzione, malgrado le pressioni per un taglio provenienti da alcuni paesi per contrastare i ribassi dei prezzi. Il Wti cede 89 centesimi di dollaro al barile, a 72,80 dollari, mentre il Brent perde 1,19 dollari, a 75,56 dollari al barile, ai nuovi minimi da quattro anni.
A fare perdere molte illusioni su un taglio della produzione capace di fare risalire le quotazioni del greggio sono state le dichiarazioni di ieri del ministro del Petrolio saudita Ali Naimi, secondo il quale il mercato «si stabilizzerà da solo».
Sono diversi i fattori che hanno contribuito a far calare così pesantemente l’oro nero. Il primo è la diffusa tendenza al rallentamento della crescita economica, che è risultata particolarmente evidente in Europa e in Cina in questi ultimi mesi, tanto da spingere le rispettive banche centrali a orientarsi in modo più aggressivo verso politiche monetarie espansive. Un altro fattore strutturale è l’aumento dell’offerta di gas naturale derivante dalla frammentazione idrolitica, specialmente nel Nord America. Ma a questo si è aggiunto anche il fattore Opec o, meglio, la totale assenza di reazioni da parte dell’Organizzazione. Solitamente il cartello reagisce ai cali marcati dei prezzi aggiustando l’offerta, con strette ai rubinetti che evitano un eccessivo affossarsi delle quotazioni. Tuttavia da mesi, secondo numerose ricostruzioni di stampa, i Paesi membri Opec sono in lotta tra loro per difendere le rispettive quote di mercato. E lo avrebbero fatto con accordi di fornitura fuori dalle contrattazioni ufficiali, in cui si sarebbero combattuti a colpi di ribassi.
Milano Finanza