Per la prima volta anche il nostro Governo prevede una manovra per difendere i cosiddetti “beni immateriali” delle imprese: una serie di norme sono state previste dalla legge di Stabilità. Ma fanno già discutere
E’ già stata criticata perché considerata una norma troppo vaga, che concede un potere eccessivamente discrezionale al Governo in materie di incentivi alle imprese. Ma, per altri aspetti, si tratta di una norma considerata ormai inevitabile, per evitare che l’industria italiana perda altri pezzi destinati a trasferirsi in altre nazioni. Laddove vengono concessi incentivi o regimi fiscali più favorevoli a chi investe in ricerca e sviluppo, ma soprattutto per proteggere i cosiddetti beni immateriali come i brevetti e i marchi.
E’ questo il concetto che sta alla base di uno dei provvedimenti inseriti nella legge di Stabilità appena varata dal Governo Renzi che per la prima volta introduce anche in Italia misure che all’estero hanno già avuto effetti positivi. In altre parole, si gioca per il pareggio: si tratta di misure che anche l’Italia non può non avere, visto che la Corte di Giustizia europea ha stabilito la possibilità di “trasferire beni immateriali di valore significativo da un uno stato membro all’altro”. Così, in attesa che l’Unione europea introduca una normativa che sia uguale per tutti, il Governo italiano – come si legge nella relazione introduttiva alla Legge di Stabilità – ha dovuto ammettere “la necessità di ripensare le misure fiscali di sostegno alle gestione e sfruttamento dei beni immateriali”.
Ma andiamo nel dettaglio del provvedimento, prima di capirne i possibili effetti pratici. Si tratta di due misure diverse. La prima prevede il recupero del credito di imposta per chi investe in ricerca e sviluppo nel periodo 2015-2109, in una misura pari al 25 per cento della differenza tra quanto investito nel triennio precedente e il livello dei nuovi investimenti. Ogni beneficiario potrà avere fino a 5 milioni, per una misura minima di nuova spesa per almeno 30mila euro. La misura vale per le spese destinate a nuovi laboratori di ricerca, assunzioni di personale altamente qualificato, contratti di ricerca stipulati con le Università o con le start up innovative.
La seconda misura riguarda la defiscalizzazione per cinque anni dei redditi da beni intangibili riconducibili alla voce proprietà intellettuale, come i brevetti ma anche i marchi, quando siano assimilabili ai brevetti. Non lo sono, per esempio, i marchi commerciali. Esattamente la norma parla di “redditi derivanti dall’utilizzo di opere dell’ingegno, da brevetti industriali da marchi di impresa funzionalmente equivalenti ai brevetti, nonché da processi, formule o informazioni relative a esperienze acquisite in campo industriale, commerciale o scientifico giuridicamente tutelabili”.
A spingere il Governo a introdurre le due misure nella legge di Stabilità è stato anche il lavoro di lobby delle multinazionali presenti in Italia, in particolare del settore farmaceutico, interessate a mantenere i propri centri di ricerca nei distretti più avanzati del nostro paese. E non dover trasferirli dove ci sono più vantaggi.
Tra i promotori, l’avvocato Roberto Valenti, partner dello studio legale di Dla Piper, dove si occupa di Intellectual Property, nonché presidente del gruppo di lavoro Life Science di American Chamber of Commerce. “C’è sicuramente un interesse da parte delle aziende – rivela Valenti – manifestato anche pubblicamente in convegni e poi in discussioni avute con il ministero dello Sviluppo economico. Ma c’è anche la necessità dell’Italia di creare le condizioni per portare nel nostro paese prodotti innovativi, nonché evitare che viceversa vengano portati all’estero quelli che già ci sono. Ritengo che la manovra contenuta nella legge di Stabilità farà venire qualche mal di pancia: in Germania, per esempio, quando se ne accorgeranno, visto che l’Italia è pur sempre il secondo paese manifatturiero d’Europa”.
Delle due misure in questione, per ora, si sono accorti solo gli addetti ai lavori, ma il dibattito è destinato a crescere. Da un lato, non c’è dubbio che la prossima sfida tra le nazioni non sarà sul livello dei salari, ma sarà sulle conoscenze. Come si legge sempre nella relazione che spiega il provvedimento: “Studi condotti per l’Unione europea e gli Stati Uniti mostrano che gli investimenti in innovazione contribuiscono alla crescita media della produttività del lavoro per una quota percentuale dal 20 al 34 per cento”.
Dall’altra, il provvedimento per la difesa dei brevetti rischia di essere troppo vago e prestarsi alle critiche di chi ha già fatto notare come possa essere bollato come un favore ai grandi gruppi come la Fiat. Come ha scritto il sito lavoce.info, il provvedimento sui brevetti “vale nel 2015 circa 80 milioni ma è destinato a salire fino a 140 milioni negli anni successivi. Si prefigura come un sussidio alle imprese altamente discrezionale perché è impossibile attribuire in modo preciso i redditi d’impresa al marchio e alle opere d’ingegno genericamente definite”.
“C’è il rischio che la portata sia troppo ampia – ammette Valenti – e che i costi possano essere troppo alti, per non dire che in altre giurisdizioni i marchi non vengono tutelati. Ma la misura che riguarda i brevetti e la ricerca è quanto mai necessaria. Ce l’hanno altri paesi in Europa, l’Italia non poteva più restare a guardare”.
di LUCA PAGNI La Repubblica