E’ impietoso il quadro che la Consob, l’Authority che vigila sui mercati, ha redatto sulla salute del mercato italiano. Dal 2007 ad oggi, l’indice è passato dal valere il 47,8% del Prodotto interno lordo al 28,6% attuale. Tononi: “Le aziende non si quotano perché preferiscono l’opacità.
Tra le industrie “allergiche” al mercato, ci sono soprattutto le Pmi che pure costituiscono la stragrande maggioranza del tessuto produttivo italiano. La percentuale di Piccole e medie imprese sul totale delle non finanziarie quotate in Borsa è solo al 61%, rispetto al 96% rappresentato nel totale del mondo imprenditoriale. Eppure l’incapacità di finanziarsi è alta: i dati mostrano che la leva finanziaria delle imprese italiane è al 48%, contro il 42% della Germania e il 34% della Francia. Ma l’esposizione è tutta verso le banche, pressoché assenti le altre fonti di finanziamento: il 66,5% dei debiti finanziari delle imprese italiane è con gli istituti, si scende sotto il 30% in Regno Unito e Usa.
Così dopo l’ultima celebre fuga, quella di Fiat, la Consob ha deciso di lavorare per introdurre anche in Italia il voto maggiorato, già introdotto con il dl Competitività dalla politica. L’Authority avvierà una consultazione pubblica con la bozza del nuovo regolamento emittenti, che recepirà le novità in materia di voto. Il decreto Competitività, varato l’estate scorsa, hanno ricordato i funzionari Consob, ha previsto per tutte le società (quotate e non) la possibilità di emettere azioni a voto maggiorato. Questa non è una nuova distinta categoria di azioni; se previsto dallo statuto il diritto al voto maggiorato spetta a tutte le azioni detenute per un congruo periodo di tempo (almeno 2 anni) da un medesimo azionista e a tutti gli azionisti che ne facciano richiesta. Il decreto competitività ha modificato un articolo del Tuf e delegato alla Consob le disposizioni attuative.